“Assad è indispensabile per una serie di ragioni, non da ultimo impedire che il conflitto in Medio Oriente investa la stessa stabilità di Israele, che è già gravemente minacciata dall’attuale situazione di disordine”. Lo evidenzia Giulio Sapelli, professore di storia economica nell’Università statale di Milano. Di recente il presidente americano Barack Obama è tornato a ribadire al presidente russo Vladimir Putin che Bashar al Assad deve andarsene. Nel frattempo gli Emirati Arabi si sono detti disponibili a impegnare truppe di terra per combattere lo stato islamico, mentre la Gran Bretagna haccolto la proposta di David Cameron di intervenire a fianco di Russia e Francia e ha dato il via alle missioni, seguita dalla Germania.
Professore, secondo lei che cosa deve fare l’Occidente in Siria?
All’Occidente conviene cercare di ricostruire degli Stati stabili. E’ qualcosa che va al di là del braccio di ferro tra sunniti e sciiti, iraniani e sauditi. Europa e Stati Uniti devono riprendere una politica di “state building”. Le politiche internazionali degli americani, degli inglesi e soprattutto dei francesi negli ultimi anni hanno distrutto nazioni un tempo solide quali Iraq, Libia e Siria.
Perché ritiene che sia stato un errore?
Perché l’Occidente ha bisogno di avere degli interlocutori stabili, e quindi deve scegliere volta a volta quelle élite, quei gruppi, che possono garantire il più velocemente e solidamente possibile la creazione di aggregati statuali. Naturalmente il califfato non va compreso nella lista dei possibili interlocutori, perché il Daesh o Isis che dir si voglia non è che la longa manus dell’Arabia Saudita che in questo modo fa la guerra per procura all’Iran.
Qual è l’obiettivo di Riyad?
I sauditi vogliono impedire che si crei una linea retta che dallo Stretto di Hormuz sul Golfo di Oman passando per l’Iran e per l’Iraq sciita attraversi la Siria ancora governata dagli alawiti e il Libano con Hezbollah, arrivando così nel Mediterraneo. L’Occidente dovrebbe iniziare a fare capire ai sauditi che devono cambiare profondamente la loro politica. Occorrerebbe compiere ciò che Theodore Roosevelt diceva a proposito dell’America Latina: “Dobbiamo usare la carota ma spesso anche il bastone”. Con l’Arabia Saudita si è usata solo la carota, ma non si può continuare su questa strada ora che i sauditi si trovano in una crisi irreversibile.
Perché l’Arabia Saudita la preoccupa tanto?
Quanto è avvenuto di recente durante la visita del re Salman a Washington è stato gravissimo, anche se nessuno vi ha posto l’accento, in quanto ha messo in crisi tutte le regole saudite relative alla successione. Il re non si è fatto accompagnare dal fratello che dovrebbe succedergli, e che non a caso è anche il capo dei servizi segreti, bensì dal figlio. In questo modo ha interrotto la tradizione di successione saudita che non è fondata sulla primogenitura, bensì che passa di fratello in fratello proprio in quanto vige la poligamia.
Quali le conseguenze di questa mossa?
La mossa di Salman ha creato un’instabilità politica profonda nella stessa Arabia Saudita, che adesso sta scavando la sua fine con le sue stesse mani. In particolare la politica petrolifera di Riyad sta creando una crisi fiscale terribile. L’Occidente deve quindi affrettarsi a dare una lezione all’Arabia Saudita, intimidendola e facendole sentire la minaccia di una reazione che può essere anche di tipo militare.
Perché ritiene che si debba arrivare a scelte così drastiche?
Perché l’Arabia Saudita è il principale ostacolo che impedisce la creazione di Stati solidi lì dove ne abbiamo bisogno, cioè in Libia, in Iraq e in Siria. Naturalmente la Turchia asseconda questa politica, in quanto favorisce le sue ambizioni neo-imperialistiche che mirano alla ricostituzione del grande Impero Ottomano non più soltanto su base turcofona, ma anche su base sunnita. La situazione quindi è molto grave. Il compito dell’Occidente è quello di scegliere volta a volta le parti che aiutano a costituire degli Stati stabili.
Anche a costo di difendere dei dittatori?
Sì, parlo di Stati stabili, non di Stati democratici. E soprattutto di Stati che stabilmente difendano Israele. Assad è indispensabile per una serie di ragioni, non da ultimo il fatto che impedisce che il conflitto in Medio Oriente investa la stessa stabilità di Israele, che è già gravemente minacciata dall’attuale situazione di disordine.
E’ un disordine senza ritorno?
No. Per fortuna l’Egitto, l’unico Stato stabile potente nella regione, continua a tenere. Finché tengono l’Egitto e l’Algeria, possiamo dirci relativamente poco preoccupati, anche se non tranquilli, ma dobbiamo ricostruire situazioni come quelle del Cairo e di Algeri.
(Pietro Vernizzi)