Il 2 febbraio è lunedì. Martina mi scrive, da Juba, “Hai visto??? un trattato di pace! hanno firmato un trattato di pace!!” e come sempre, da un anno a questa parte, il pensiero è subito “Sì, speriamo che stavolta sia vero”. E nemmeno lo speri. Ma stavolta il pensiero non diventa parola. Rimangono quelle di Martina, quel suo sguardo pulito. Ce ne deve sempre essere uno, almeno. Almeno uno. Basta quello. E provo a pensare, allora, ma che bello sarebbe un Sud Sudan in pace. Come sarebbe smettere di temere gli spari di notte? O smettere di aspettarsi continuamente, problemi, complicazioni, guerra. E’ questione di un attimo. L’alternativa è semplice: o quello sguardo o il buio. Meglio vederci, allora, anche solo con una candela.



Il 27 gennaio è giovedì. Si legge: In Sud Sudan hanno liberato 3000 bambini soldato. Anzi, leggo meglio, 3000 dei 12000 bambini soldato reclutati negli ultimi quattro anni in Sud Sudan hanno deposto le armi.

Bambini tra i 7 e gli 11 anni. Bambini che depongono le armi. Bambini reclutati, fatti grandi improvvisamente. Come per l’Africa, improvvisamente. Lo Sviluppo. Così per i bambini, 12.000, improvvisamente le armi, da sempre, già in culla. Penso a quel soggetto, il soggetto bambino che decide di deporre le armi. forse già a 8, 9 anni, si tratta di una scelta. Spaventosa possibilità di scelta, ma forse luci di speranza.



Come lo sguardo pulito di Martina.

Il 2015 è un altro anno di carestia. Ci stanchiamo a dirlo, eppure ogni volta che lo diciamo fa spavento. Due milioni e mezzo di persone a rischio carestia. 

Se solo davvero ad Addis Abeba si stringessero la mano. Per una pace vera e per cibo e nutrimento.

Non basta il cibo, ma serve. Non basta la pace, ma è necessaria. 

Leggi anche

PIANO MATTEI/ Tra Etiopia e Somalia serve una mediazione che non "aspetta" la Meloni