Non c’è bisogno di alcun dibattito parlamentare e di alcun atto parlamentare che forniscano al Governo italiano strumenti e determinazioni per decidere la guerra contro lo stato islamico (Isis o Daesh). Non ce n’è bisogno perché ci sono già atti parlamentari che impegnano il nostro Governo al confronto con l’Isis, inteso come progetto terroristico e come milizie terroristiche che stanno ferendo la dignità dell’uomo a diverse latitudini.

Il nostro Governo ha già impegnato dei militari nel Kurdistan iracheno, perché in quel luogo noi facciamo attività di formazione per i peshmerga curdi, ed ha già impegnato dei Tornado italiani in attività di ricognizione nel Kurdistan iracheno e in Siria. Allora, che senso ha dire che c’è bisogno di una nuova determinazione per combattere lo Stato islamico e le milizie dell’Isis in qualunque altra latitudine?

Le milizie dell’Isis, che si muovono nel deserto libico e stanno arrivando sulla costa e a Tripoli, sono fatte di uomini che hanno già combattuto fino a ieri in Siria e in Iraq. Il progetto politico-ideologico del califfato è, per sua natura, un progetto internazionale, cosmopolita, che si riferisce addirittura a cittadini con passaporto europeo. Quindi, se noi abbiamo già deciso, e con determinazione, di sfidare lo Stato islamico, vuol dire che quella lotta va fatta ovunque e con la medesima determinazione.

Quindi, quando si dice che siamo pronti a combattere, altro non significa che siamo nelle condizioni di dover combattere, perché è stata lanciata una sfida al nostro modo di concepire la vita, che si fonda essenzialmente sul rispetto della dignità umana.

Veniamo ora al territorio libico, alla questione della Libia in sé. Ci sono delle fazioni in Libia, prima fra tutte Ansar al-Sharia, che sicuramente hanno un carattere più locale, ma che non hanno alcuna fiducia e alcun interesse alla nascita di uno Stato libico democratico. Questo, pur rilevato anche dalle autorità americane presenti in luogo, determina una difficoltà anzitutto di mentalità, perché la lotta tra le fazioni libiche è lotta tra chi concepisce lo Stato come la banda che ha vinto. E’ lotta, cioè, tra chi ritiene che una volta che si è ottenuto il potere, lo si debba gestire con il criterio del “prendo tutto io”. 

Questo rende enormemente difficile un tentativo di mediazione solo diplomatica all’interno dello scenario libico, ed è ciò che chiama in causa in prima battuta il ruolo prioritario dell’Italia. 

Siamo quelli che hanno più problemi con la Libia, perché sicuramente il flusso di migranti e di profughi che proviene da quelle coste ci mette in enorme difficoltà. Ma siamo anche quelli che trarranno maggiore vantaggio se sapremo trovare una soluzione adeguata a questo problema. Allora perché non considerare la possibilità, che pure era compresa nelle opzioni di Mare nostrum, di fare interventi a terra, sulla costa libica, per distruggere al suolo, prima ancora che partano, i barconi che costringono a morte certa i migranti? 

Perché non valutare questa opzione che è già stata attuata dal Governo D’Alema, quando ci siamo trovati in una situazione analoga nello scenario albanese? Perché, cioè, non comprendere che un’azione di intervento militare, di contenuto e di forma limitatissimi, potrebbe trarci fuori dai guai e dall’impiccio di dovere affrontare invece il pericolo di un confronto con le milizie di Isis che trionfano sulla costa, e a quel punto armano e conducono i barchini e i barconi in soluzioni armate per azioni di pirateria all’interno del Canale di Sicilia e del mar Mediterraneo? 

Noi siamo chiamati a dare queste risposte, così come siamo chiamati a superare le contraddizioni di una mancanza di cultura di difesa che sembra perniciosamente affliggere il nostro quadro politico. Mi rivolgo in questo senso a tutte le forze politiche che sono state protagoniste di Governo negli ultimi dieci anni.

Il bilancio della Difesa italiana in dieci anni è stato tagliato del 26 per cento; quello della Germania è cresciuto in dieci anni del 3,8 per cento. Il nostro problema rispetto alla cultura della difesa, che purtroppo affligge in modo speciale il partito di maggioranza relativa, è che non possiamo obbligarci a disfare di notte ciò che abbiamo costruito di giorno. Non possiamo promuovere programmi di dotazione militare di giorno e disfarli con mozioni incredibili di notte. Non possiamo essere continuamente in contraddizione con noi stessi, perché questo non ci rende credibili nello scenario internazionale.

È bene, quindi, che sulla questione libica, proprio perché c’è il favore e il consenso di una popolazione italiana che capisce quanto è importante il tema della difesa, il Governo italiano torni ad esercitare un ruolo chiave nella relazione con gli alleati occidentali e con coloro che, nei Paesi arabi, si battono per la democrazia e per la libertà.

Un’ultima considerazione sull’Europa. Sono realmente mortificato, perché la politica europea mostra tutta la propria difficoltà nel momento in cui, recandosi all’Onu, è qualificata dalla lunga sequenza di ambasciatori dei Paesi dell’Unione europea (ben 28), cui si aggiunge quello dell’Unione europea. Nella realtà questo dà l’immagine di ciò che l’Unione europea è sul piano della politica estera: una sorta di organizzazione non governativa assolutamente impotente. Perché ci sia un’azione europea risoluta, bene fa l’Italia a programmare, in ogni sede e in ogni circostanza, il dovere di promuovere e di agire per una maggiore integrazione, ma è necessario anche che mettiamo qualche puntino sulle “i”.

Dovevamo proprio aspettare la nomina di un Alto rappresentante dell’Unione europea italiano perché quel ruolo venisse ulteriormente mortificato, escludendo la signora Mogherini dai colloqui sul tema del nucleare iraniano e, quindi, mettendo in una condizione di oggettiva minorità chi esercita quel ruolo? Dovevamo proprio aspettare la nomina di un Alto rappresentante dell’Unione europea italiano perché diventasse ancora più marginalizzato quel ruolo nel contesto della crisi ucraina? Credo che questa sia una questione che fondamentalmente riguarda la postura, il modo con cui il Governo italiano esercita la sua presenza nelle istituzioni internazionali. 

Lo scenario euromediterraneo, l’Europa e il mondo intero hanno veramente, in modo non retorico, bisogno dell’Italia e l’Italia può e deve illuminare una circostanza così difficile, proprio perché ha una cultura di pace profondissima. Tuttavia, quella cultura di pace, che può risplendere nell’azione di carattere diplomatico, deve avere alle sue spalle anche un fondamento di certezza del diritto e di capacità di esercitare la difesa dei popoli e dei cittadini, che non può essere messa in discussione da nessun atteggiamento obliquo, incerto o timido.