“L’infiltrazione del califfato in Libia è stata favorita dallo spezzettamento del Paese provocato dallo scontro tra due milizie, quelle di Zintan e Misurata, e tra due governi, quelli di Tobruk e Tripoli”. Lo afferma Amedeo Ricucci, inviato Rai, che ai primi di febbraio si trovava a Tripoli e che ha seguito tutte le guerra più recenti in Africa e Medio Oriente, subendo anche un rapimento in Siria per conto di Jabat Al Nusra nel 2013.
Come è iniziato il caos in cui sta affondando la Libia?
E’ incominciato il 13 luglio 2014 con la battaglia per la conquista dell’aeroporto di Tripoli, che rappresenta un business colossale in termini di traffico merci e passeggeri. Dalla caduta di Gheddafi in poi l’aeroporto era sempre stato controllato dalle milizie di Zintan. Nel luglio scorso le milizie di Misurata hanno attaccato l’aeroporto e hanno vinto.
Chi rappresentano queste milizie?
Le milizie di Misurata sono espressione del governo di Tripoli e del Congresso Nazionale di Transizione (Cnt) nominato durante la rivolta contro Gheddafi. Il mandato del Cnt è scaduto nel giugno 2014, sono state fatte elezioni per la formazione di un nuovo Parlamento e un nuovo governo. Per una serie di cavilli la Corte costituzionale libica ha bocciato queste elezioni, e quindi il nuovo consiglio dei ministri è stato costretto all’esilio.
Qual è in questo momento il governo legittimo in Libia?
In Libia abbiamo due governi entrambi illegittimi: quello di Tripoli, espressione del Cnt e legato ai Fratelli musulmani, e quello di Tobruk. Quest’ultimo è appoggiato dalle milizie di Zintan, dal generale Khalifa Haftar, dall’Egitto e dagli Emirati Arabi.
Chi è il generale Haftar?
Haftar è un generale ex fedelissimo di Gheddafi. Dopo la caduta del Colonnello, Haftar aveva avviato una campagna in Cirenaica per liberarla dagli islamisti, una galassia che include Ansar Al-Sharia e altri gruppi minori legati ad Al Qaeda.
Quali altri gruppi operano in Libia?
Sul terreno ci sono anche le milizie berbere che controllano la costa occidentale verso il confine tunisino e quelle tuareg che controllano Seba nel Sud.
L’Isis come è arrivato in Libia?
Ciò che abbiamo di fronte è una Libia divisa tra due schieramenti, con le alleanze tra tribù che cambiano di giorno in giorno. Si combatte intorno ai pozzi di petrolio, in Cirenaica e nel Fezzan. Nel bel mezzo di questo spezzettamento è comparso il califfato islamico. C’erano migliaia di libici che combattevano in Siria, io li ho visti di persona, e una volta ritornati in patria si sono stabiliti a Derna.
Chi c’era a Derna prima dell’Isis?
A Derna c’era un campo di addestramento di Al Qaeda. Si è creata così una rivalità tra Al Qaeda e Isis che si è tradotta in una battaglia sul terreno, armi alla mano. In ottobre alcune migliaia di miliziani legati ad Al Qaeda si sono scontrati con 800 uomini fedeli al califfato, che sono riusciti ad avere la meglio. Da lì è iniziato un sommovimento interno alla stessa galassia jihadista libica.
Che cosa ha permesso che la crescita del ruolo dell’Isis in Libia?
Ansar Al-Sharia ha avuto diverse defezioni interne in favore dello stato islamico. Quest’ultimo si è espanso fino a Bengasi, dove ha firmato diversi attentati. Ha colpito diverse volte anche a Tripoli, tra cui il 27 gennaio all’Hotel Corinthia, e ha conquistato tre edifici a Sirte.
Come era situazione quando lei se ne è andato?
Già in parte fuori controllo. A Tripoli di notte si sparava, perché in città sono presenti anche soldati fedeli al generale Haftar. C’è stata una recrudescenza di sequestri di persona, tra cui quella del medico italiano Ignazio Scaravilli. La sicurezza è andata scemando nel corso dei giorni. Io e altri colleghi abbiamo dovuto adottare misure di sicurezza rafforzate per scongiurare il pericolo di un sequestro.
Lei è favorevole a un intervento di “peace keeping”?
Parlare di intervento di “peace keeping” sotto l’egida dell’Onu è un controsenso, perché in Libia non c’è nessuna pace da mantenere. Occorrerebbe un intervento di “peace enforcing”, ma sarebbe un massacro perché si aggiungerebbe un terzo esercito a combattere tra i due litiganti. Ciò che serve è un lavoro diplomatico e l’Italia lo sta già facendo. Lo stesso ambasciatore Buccino (ora in Italia, ndr) ha dichiarato: “La situazione è certamente grave, ma non dobbiamo drammatizzarla”.
(Pietro Vernizzi)