Da qualche giorno a questa parte, secondo la politica e l’opinione pubblica italiana ed europea, in Libia c’è il terrorismo di stampo jihadista. Fino a qualche tempo fa, sempre secondo gli scienziati del pensiero, Tripoli e dintorni erano una terra in cui tutto scorreva liscio: fino all’arrivo di Isis, che ha rovinato tutto. Un classico della storia italiana ed europea in genere, ovvero accorgersi del problema quando esso è già clamorosamente deflagrato e dunque non si può più prevenire ma solo curare, spesso in gran fretta per evitare che la ferita infettata vada in cancrena. La Libia però in cancrena c’è già andata e ora, come sempre, l’Occidente non sa come uscirne. Vuole fare la guerra ma non ha alcuna idea di quale pace costruire. Tenta bizzarre soluzioni diplomatiche per paura di non vincere.



Quando Isis era “relegato” fra Siria e Iraq ma sgozzava, decapitava, stuprava e bruciava vive centinaia di persone pareva non essere un problema per la comunità internazionale: era lontano e i popoli di quel quadrante potevano serenamente continuare a morire fra atroci sofferenze, tanto qui nessuno si fa male. Nemmeno l’attentato a Charlie Hebdo, che tanto scandalo ha procurato fra le anime belle europee ignare della presenza di terroristi di matrice jihadista dietro la loro porta di casa, ha portato ad una reazione concreta del nostro vecchio continente. Che non si accorge, specialmente vicino a noi, che una certa propaganda estremista e jihadista ha ormai conquistato anche quelli che fino a poco tempo fa si dicevano moderati, le grandi moschee e i grossi centri culturali, lasciando sostanzialmente sguarnita la linea difensiva contro il radicalismo galoppante.



I poteri forti dell’area del Golfo ormai dominano incontrastati i centri nevralgici dell’economia e della finanza, accrescendo la loro influenza in ospedali, università, grandi realtà produttive e strutture nevralgiche per il Paese, decidendo capillarmente anche della sorte delle persone. Finanche nelle sedi della politica, che ormai sdoppia il suo servilismo fra finanza occidentale e mediorientale. In una Europa che per bocca del premier francese Valls, che fino all’altro ieri era ministro di Sarkozy, arriva addirittura alla sconcertante semplificazione per cui gli jihadisti sono fascisti, come se noi tutti non ricordassimo bene quanto l’estremismo mascherato da buonismo si sia sempre servito delle sinistre europee per radicarsi ed espandersi. Sinistre che certo non hanno disdegnato di prestarsi al gioco. Con questi presupposti e con una Onu immobile perché guidata da un Obama tentennante sull’aggredire coloro che aveva un tempo sostenuto, come si può pensare ad un’azione concreta ed efficace in suolo libico? 



La verità è che l’Occidente ha paura, ha paura di quei movimenti jihadisti figli del suo stesso ventre, che ha cullato per abbattere i dittatori e prendersi il residuo lasciato per strada nel tempo e che oggi governano il traffico dei migranti e decidono vita e morte di migliaia di persone. Ha così paura da lasciare serenamente al presidente egiziano Al Sisi il subappalto della reazione contro Isis in Libia, omettendo di accompagnare la rinascita militare e politica egiziana in modo da non far sì che un altro alleato, un giorno, possa divenire ostile. 

È questo ciò che frena l’Europa: la paura di non poter controllare le marionette create tempo fa, di non riuscire a gestire il fermento delle galassie jihadiste e radicaliste interne, di non essere più Occidente ma di essersi trasformata in qualcosa di indefinito, ostaggio dei sensi di colpa e prigioniera di sé stessa.