NEW YORK — “Ma fa freddo lì?”. Domanda classica che amici e conoscenti ci fanno quando sono in procinto di venire a New York. E noi sempre a ripetere la stessa litania: “Sì, gennaio e febbraio sono sempre i mesi più nevosi e freddi”. In questi giorni la domanda si è trasformata in una affermazione interrogativa: “Ma che freddo fa lì?!?”.
Eh, fa freddino. Sono giorni e giorni che lo “0” (o 32 in Fahrenheit) è poco più che un languido e vago ricordo. Nel senso che si fa fatica ad andare sopra al -10. E’ chiaro che poi si gela tutto, no? L’acqua non gela a zero gradi centigradi? Cosa volete che faccia a -15 o -20? Gela di più! E non solo l’acqua. Come diceva quel cucciolotto ne “La carica dei 101”, “ho il nasino gelato, la coda gelata, le zampine gelate ….sono tutto gelato!”. Allora la sera ci si siede davanti al termosifone (il camino non ce l’ha più nessuno) e si raccontano ai piccini storie di quando era caldo e si andava al mare…
Per dirlo in altre parole, a New York la gente normale sta crepando dal freddo. Fortunatamente solo in senso figurato, almeno a NYCity dove in qualche modo anche gli homeless hanno pensato bene di rintanarsi in quegli shelters che aborriscono. Ma fa proprio freddo. Quando poi tira anche solo un filo d’aria, di quelli che ti si insinuano tra la sciarpa arrotolata fin sugli zigomi ed il berretto di lana calcato sulle sopracciglia, e colpisce con precisione chirurgica la narice lasciata inavvertitamente esposta…
A me il freddo piace, molto. Ho sempre sostenuto con vigore la teoria del “basta coprirsi”. La mia liturgia del mattino (non ditemi che non avete una liturgia del mattino) tra le altre cose prevede una rapida occhiata al termometro appiccicato alla finestra che da sulla backyard, ed una veloce escursione déshabillé sul deck. Diciamo una “prova terrazzo”. Checché dica il termometro io credo al dominio dell’esperienza! Una volta che la pelle ha assaporato la temperatura, so come vestirmi. Potete facilmente immaginare come le “prove terrazzo” di queste ultime settimane siano state alquanto impegnative, con una temperatura media alla mattina sui -15. Va tuttavia riconosciuto che mi hanno sempre permesso di coprirmi adeguatamente. Oggi però, lo confesso, ho sentito freddo. Non sul terrazzo, in strada. Non tanto freddo, per carità, però un pochino si. Ho fatto una sciocchezza, e via …chi è causa del suo mal…
E’ successo che avendo già visto tante foto di Manhattan avvinghiata dal gelo, trovandomi a passare lungo l’East River ho pensato che tutto il mondo di Instagram e Facebook non aspettasse altro che una mia lettura visiva di questa inattesa manifestazione del global warming. Cosi invece di approfittare fino in fondo del passaggio in macchina che avevo rimediato, mi sono fatto scaricare sotto il Manhattan Bridge. Pronti, attenti, via! Scendo e casco.
Sì, casco. Perché voi non siete mai caduti? Ma quanta gente cascherà in questi giorni?!? C’e’ ghiaccio dappertutto, “black ice“, quello che non si vede – ma si sente. Bisogna star vigili, sempre. Non scherzo! Ognuno qua fa il suo dovere ripulendo il suo pezzo di marciapiede, cospargendolo di sale etc. E’ un dovere civico e qua la gente ci crede, soprattutto da quando Kennedy disse a tutti di chiedersi cosa potessero fare per il loro paese. Per esempio quando nevica, spalare. E tutti spalano. Ma durante il giorno la neve ammucchiata qua e là si scioglie un po’, e nella notte tutti quei rivoli e pozzanghere si trasformano in rampe di lancio per i pattinatori involontari del mattino. Quelli come me. Comunque, dopo essere caduto ed essermi rialzato, attraverso la strada, South Street, con grande cautela (se la strada è in ombra il black ice c’è di sicuro) e mi affaccio finalmente sull’East River, tutto ingombro di lastre e grumi di ghiaccio. Spettacolo! Senza esitazione alcuna mi tolgo i guanti e comincio a scattar foto con l’odiato iPhone … ed è lì che ho perso l’uso delle mani per circa tre ore. Avrò fatto cinque o sei foto, non son riuscito a farne di più.
Adesso sto meglio, grazie. La temperatura del pomeriggio ha aiutato. E’ caldo, siamo a -5.