Ora si rischia davvero la guerra. La crisi in Ucraina rischia di precipitare e un nuovo conflitto potrebbe esplodere molto vicino all’Europa. Siamo ripiombati in piena Guerra fredda e si stanno, infatti, ripetendo schemi e strategie di allora. A dirlo è il generale Carlo Jean, che proprio in quegli anni comandava il battaglione italiano Susa, parte della Forza di intervento mobile della Nato che in questi giorni viene nuovamente schierata nell’Europa dell’est e nei Paesi Baltici. Sono proprio i Paesi Baltici, a sentire l’ex segretario dell’Alleanza atlantica Anders Rasmussen, il prossimo obbiettivo di Putin, che in questo modo potrebbe voler testare la reazione della Nato. Un quadro dunque estremamente preoccupante, che, sempre secondo Jean, solo Angela Merkel è in grado di cambiare. E’ lei, ha detto Jean al Sussidiario, l’unico esponente politico in grado di fronteggiare Putin e arginare il suo imperialismo.
Generale, la guerra civile in Ucraina è ripresa più di prima. Si aspettava questa nuova escalation dopo un periodo di relativa tranquillità?
Era prevedibile, data la crisi economica russa dovuta sia alle sanzioni dei paesi occidentali che alla diminuzione del prezzo del petrolio. Putin perde economicamente e dunque cerca di guadagnare qualcosa mettendo l’acceleratore sul militarismo.
Una escalation che ha portato i miliziani filorussi prima a conquistare l’aeroporto di Donetsk e poi a bombardare la città portuale di Mariupol, con molti morti tra i civili. L’esercito ucraino sembra in evidente difficoltà, è così?
Gli ucraini sono in difficoltà perché praticamente avevano smantellato l’esercito. Ricostruirlo ora, e soprattutto farne uno in grado di affrontare una guerra civile che sarebbe all’ultimo sangue, è molto difficile. Il governo di Kiev non gode poi di un completo sostegno da parte degli ucraini.
Come è il quadro attuale delle forze in campo?
Dal punto di vista strategico la Russia è decisamente favorita, essendo a contatto territoriale. Di conseguenza può rifornire le province dell’est anche con forze speciali e truppe attraverso una strategia molto raffinata, cosiddetta della guerra ibrida.
Di cosa si tratta?
E’ una strategia teorizzata dall’attuale capo di stato maggiore russo, Nikolaj Makarov, in base alla quale le azioni di forza si alternano a inganni, a sorprese, a istigazioni della popolazione locale a ribellarsi, a offerte di pace, rotture di tregue, azioni psicologiche, ad esempio il tentativo di dividere gli alleati dell’Ucraina. Tentativo che, bisogna dire, è riuscito perfettamente, perché Europa e Stati Uniti vanno ognuno per conto proprio.
Perché la città di Mariupol è così importante per le forze contrapposte?
Per i filorussi significa l’apertura della strada tra i territori di Donestsk e la Crimea, per gli ucraini significa mantenere l’unico porto oltre a quello di Odessa.
Tornando alla divisione tra Europa e Usa. Obama vuole armare gli ucraini, la Merkel si oppone.
L’invio di armi non cambierebbe granché, perché se anche gli Usa riforniscono l’Ucraina in modo massiccio, la Russia è in condizioni di superare il numero di armi che gli Usa possono inviare.
La Nato ha deciso di allestire una forza di reazione rapida in Europa dell’est formata da 5mila soldati pronta ad essere operativa, in caso di crisi gravi, in 48 ore. Che scopo ha?
E’ una forza pensata per far fronte a quelle nuove strategie che dicevamo prima. L’infiltrazione di soldati vale soprattutto per i Paesi baltici, che hanno una profondità strategica molto ridotta e dunque possono essere facilmente oggetto di questo tipo di strategia. Una forza di 5mila uomini può rappresentare una forza di intervento antirusso molto efficace.
In che modo?
Lo schieramento preventivo di questa forza in caso di pericolo rappresenta una misura dissuasiva molto molto forte. E’ esattamente quello che si faceva durante la Guerra fredda con la Forza di intervento mobile della Nato, di cui faceva parte il battaglione Susa che comandavo personalmente. Si veniva schierati nelle zone dove non c’era uno schieramento multinazionale dell’alleanza, in particolare la Norvegia del nord, l’Africa e la Turchia. In caso di attacco le forze del Patto di Varsavia dovevano così passare non solo attraverso le forze locali ma anche combattere le forze di sette Paesi dell’Alleanza Atlantica provocando poi un intervento massiccio. Dunque i sovietici non attaccavano mai.
L’ex segretario dell’Alleanza atlantica Anders Fogh Rasmussen ha detto che Putin, nel suo delirio imperialista, potrebbe attaccare proprio uno dei Paesi baltici per testare la reazione della Nato.
Non credo proprio che Putin lo possa fare, sarebbe troppo pericoloso. Inoltre se le sanzioni vengono inasprite la Russia viene messa in ginocchio. Mosca ha già bruciato circa un terzo delle riserve che aveva e ha grosse difficoltà nel rinnovo delle obbligazioni di valuta straniera. L’unico Paese che dà ancora credito alla Russia è la Cina, ma a condizioni di autentica usura. La Russia non accetterà mai di ridursi a junior partner di Pechino.
Angela Merkel e Hollande hanno incontrato i leader di Kiev e di Mosca, che cosa pensa possa comportare l’intervento diplomatico?
Fondamentalmente si cerca di attuare quello che era stato delineato come piano permanente da parte di Putin in precedenza, e cioè una forte autonomia delle regioni russofone, una autonomia tipo quella di cui gode il nostro Alto Adige.
La Merkel infatti ha detto che non si faranno concessioni territoriali alla Russia.
Certamente, quello che è in gioco è l’ordine europeo scaturito dalla fine della Guerra fredda. La Merkel che è nata e vissuta in Germania orientale conosce bene i russi e non ha intenzione di mollare.
In che senso?
In senso anti-russo. Putin sta esagerando, ha bisogno di una calmata. Ci saranno ulteriori variazioni sul tema economico, concessioni e accordi vari, ma alla fine Putin dovrà accettare quanto dice la Merkel.