La presenza di Matteo Renzi al Forum economico di Sharm el Sheikh sembra confermare l’intenzione del governo italiano di assumere una posizione più netta e di primo piano nella questione libica, avvicinandosi all’asse Il Cairo-Mosca, in questo momento più attiva nel territorio rispetto agli altri possibili player, Stati Uniti in primis.



L’opzione non è da accantonare e potrebbe aprire per l’Italia una leadership diplomatica di primo piano nello scenario libico, ma non vanno celate alcune criticità legate sia al ruolo e ai reali obiettivi del possibile alleato egiziano, sia alla situazione interna al paese. 

L’Egitto ha già compiuto numerose azioni militari in territorio libico per bloccare l’avanzata dello stato islamico e rappresenta al momento l’attore più dinamico nell’intricato risiko geo-strategico del paese. Va però ricordato che il generale Al Sisi dialoga solo con una delle rappresentanze libiche, sostenendo il governo legittimo di Tobruk e in particolare il generale Khalifa Haftar — il quale non ha mai celato le sue affinità ideologiche con Al Sisi nelle questioni relative alla lotta al terrorismo — mentre non sembra aver alcuna intenzione di prendere in considerazione il governo di Tripoli che rappresenta, di fatto, la Fratellanza musulmana, nei confronti della quale, anche a livello interno, il generale non ha mai nascosto la propria avversione. Anche Putin, dopo la visita al Cairo del mese scorso, sembra sempre più allineato con Al Sisi nel sostenere, anche militarmente, il governo di Tobruk. 



Ora, se da un lato l’Egitto può rappresentare per l’Italia una valida opzione strategica per aprire una strada in territorio libico, dall’altro sarebbe necessario un ulteriore sforzo diplomatico per favorire un dialogo tra i due governi del paese, quello di Tripoli e quello di Tobruk, dialogo che, a livello politico, rappresenta l’unica soluzione possibile non solo per contrastare l’avanzata dello Stato islamico ma anche per tentare di ricomporre il puzzle libico, ma che sembra un’ipotesi decisamente lontana dalla prospettiva egiziana. 

Lo scenario si fa ancora più complesso considerando che, se l’Egitto sostiene il “governo del generale Haftar” e non ha la minima intenzione di aprire ai Fratelli musulmani libici di Tripoli, la Turchia, assieme al Qatar, sostiene apertamente questi ultimi. Il rischio di arroccarsi su queste posizioni e divisioni è quello di uno scontro geopolitico regionale che finirebbe, paradossalmente, per rafforzare le forze del califfato.



Dunque, se è pur vero che l’Egitto sembra essere tornato a ricoprire un ruolo di pivot nell’area mediorientale — e il suo impegno nella guerra contro i tagliagole dell’Isis lo ha reso un interlocutore indispensabile per chiunque intenda agire nel teatro libico, non solo per frenare i fondamentalisti dello stato islamico ma anche per cercare di porre un freno al caos in cui versa il paese — va tenuto conto del fatto che Al Sisi ha assunto una posizione di netta contrapposizione nei confronti del governo di Tripoli e della Fratellanza musulmana libica, e questo non giova certo al dialogo nel paese. 

Far perno sulla rinnovata potenza egiziana, legata a sua volta alla Russia di Putin,  potrebbe essere un’ ipotesi percorribile per l’Italia, ma l’asse Roma-Il Cairo-Mosca sarà davvero efficace solo se l’Italia sarà in grado di convincere i propri possibili alleati della necessità di includere tutta la Libia  — e non solo Tobruk e dintorni — nello sforzo diplomatico. L’Italia, agendo con questo spirito, potrebbe divenire il connettore diplomatico di questa “strana alleanza” anche se per farlo sarà necessario sacrificare, sull’altare della guerra al fondamentalismo, tutti quei blogger e attivisti politici che nell’ultimo anno sono morti nelle carceri egiziane (circa 80 secondo Amnesty International) e chiudere più di un occhio sul ruolo di Putin nella crisi in Ucraina.

 Ma il pragmatismo politico, o se si vuole la realpolitik, si sa, ha spesso generato strange bedfellows.