La Tunisia paga il prezzo della libertà. Paga, con gli attacchi al Museo del Bardo e al Parlamento in cui turisti stranieri sono rimasti uccisi e feriti, l’aver detto no all’estremismo e l’aver estromesso dal governo chi ha tentato di riportare la Tunisia al medioevo della ragione, all’integralismo, alla violenza jihadista sistematica e legalizzata.
Ma Tunisi ha visto molto prima di ieri assottigliarsi la lista dei suoi alleati. Dopo le elezioni che hanno portato al governo Nidaa Tounes (Appello della Tunisia), formazione liberale e laica, c’è stato da parte dell’Occidente un boicottaggio mirato e costante del risultato elettorale, perché il cavallo su cui le élites politiche europee e americane avevano scommesso, ovvero l’estremismo camuffato da moderatismo, era stato sconfitto e al suo posto non arrivava un altro simulacro politico ma un gruppo di teste pensanti liberali e moderate; nessuno che potesse proseguire l’opera di demolizione geopolitica del Nordafrica, dando sfogo all’espansione neo-salafita nella culla della cultura araba. Dall’Egitto alla Tunisia, passando per la Libia e chissà domani, forse, per l’Algeria.
Gli attacchi di Tunisi sono solo la punta di un iceberg di vergogna che ha visto l’Occidente tentare di uccidere l’idea di rinascita tunisina, laddove le urne avevano decretato il successo di un popolo pronto a ricominciare e ormai libero da ogni condizionamento esterno. E quando si parla di decapitare uomini e sogni, nazioni e pensieri il jihadismo è sempre pronto a mettersi in prima linea; del resto non è un mistero che in quell’area, al di là di Isis che pur di comunicare rivendicherebbe anche la potatura degli alberi, esiste un vasto panorama di movimenti e gruppi di stampo jihadista e salafita pronti ad agire in ogni momento, da Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) fino ad Ansar al Sh’aria.
Ricordo con estrema nitidezza l’assassinio di Chokri Belaid, leader dell’opposizione a Ennahda, proprio nel momento in cui la Tunisia iniziava a rendersi conto che stava avviandosi verso il baratro dell’estremismo istituzionalizzato. Ne abbiamo parlato spesso su questo giornale, la morte di Belaid poteva stoppare in maniera eclatante la presa di coscienza tunisina sul futuro, ma il popolo non si è fermato e ha continuato a credere di poter cambiare le cose, nel dire sì alla democrazia, all’uguaglianza e alla libertà. Che sono presenti già dal 1956 per mano di Bourghiba.
Una prova di forza, allora, quella degli attacchi di oggi, che la Tunisia, seppure sola e osteggiata, saprà affrontare e vincere. Perché se l’Occidente dei falsi multiculturalisti l’ha abbandonata, nel cuore vero d’Europa il principio di libertà continua a vivere: nei saggi e nei discorsi di chi non ha paura, di chi denuncia l’estremismo, di chi ha parlato della Tunisia e della vittoria della democrazia liberale e laica, di chi non teme di esser tacciato di intolleranza e di islamofobia se chiede che a Tunisi l’estremismo militante e armato non metta più piede.
Oggi le forze che credono nell’esempio tunisino come volano di democrazia per tutto il Nordafrica devono essere ancora più unite: e pazienza se nessuno, da Bruxelles, Parigi, Berlino o Washington invierà le sue scialbe parole di sostegno alla Tunisia. Chi crede nella libertà, nella democrazia e nell’esistenza di un mondo arabo moderato e moderno oggi è a Tunisi con il cuore e con l’anima, e testimonia in silenzio il suo dolore. Sapendo però che la Tunisia non molla e che i gelsomini della libertà fioriranno di nuovo sul suolo martoriato dalla follia omicida del jihadismo.