Finalmente una bella notizia in Grecia. La Deh (la società pubblica di elettricità) ha deciso, in accordo con il sindacato, di offrire ai suoi dipendenti una “indennità caffè e panino” dell’ordine di 6 euro giornalieri. Facciamo due calcoli: la società a controllo pubblico impiega circa 19.000 persone e per questa regalia dovrà sborsare circa 34 milioni di euro l’anno. Questi verranno prelevati dalle cassa della società, la quale, in ragione delle crisi che costringe famiglie e industrie a non poter pagare la bolletta, ha delle sofferenze di circa 2 miliardi. Strana coincidenza. Circa un anno fa una società siderurgica alle porte di Atene ha deciso di chiudere lo stabilimento dopo che aveva chiesto alla Deh un’agevolazione per il prezzo del costo energetico, richiesta che la società elettrica aveva rifiutato dicendo che non poteva vendere energia sottocosto. Conclusione: 74 lavoratori licenziati (prima della crisi erano 450).
La decisione è stata presa nei giorni in cui il governo sta cercando disperatamente fondi per far fronte agli obblighi del pagamento degli interessi sul debito. “Se sarà il caso spremeremo anche le pietre”, ha dichiarato con la sua solita fantasia il ministro delle Finanze, Yanis Varufakis. La prima ipotesi. La seconda: “Stiamo valutando una tassa speciale per coloro che possono”. Per il momento stanno raschiando il fondo del barile: dalle casse pensionistiche, dalle casse per i programmi agricoli, dalla casse degli ospedali. Indubbiamente le fantasiose dichiarazioni di Varufakis stanno innervosendo parecchi ministri, i quali, a fronte delle proposte del ministro, sostengono che le sue sono “ipotesi personali”, oppure dicono semplicemente “chiedete a lui”. Di sicuro si assiste a una polifonia di voci. E poi c’è stata la prima retromarcia: la tanto vituperata tassa sulla proprietà immobiliare – provvedimento che è stata una della cause della sconfitta di Samaras – che doveva essere abolita da Syriza e sostituita resterà in vigore anche per il 2015. Per il 2016 si vedrà.
“Due professori possono distruggere una società, tre un Paese”, sosteneva Bismark. Beh, nel governo Tispras i professori sono parecchi, ognuno con la sua idea di teoria economica, ognuno con delle proposte, ognuno ignaro di quanto sta architettando l’altro. Eppure il governo dispone di un vice-primo ministro, responsabile dell’Economia e capo del team economico-finanziario. Nonostante ciò la coordinazione è assente. E così abbiamo un ministro che smentisce il suo segretario generale, un altro ministro che smentisce il suo sottosegretario. E tutto questo “brodo primordiale” finisce nei notiziari serali che sono diventati una vera tortura per chi vorrebbe capire che cosa realmente succede.
Per chi ascolta, cioè i greci, sta suonando l’allarme per l’evolversi della situazione. L’ultimo sondaggio dice che la condivisione delle linea del governo è scesa di 23 punti percentuali negli ultimi quindici giorni. Strana davvero questa società: ha votato contro l’austerità ma in favore dell’euro, ha votato a sinistra ma ha prosciugato i suoi conti in banca, ha chiesto il rinnovamento ma si ritrova con le vecchie alchimie e i privilegi della politica.
Alexis Tsipras, durante i lavori del Comitato centrale di Syriza, ha rimproverato quei parlamentari che si erano lamentati del fatto che il Parlamento, su proposta dello stesso primo ministro, avrebbe tolto loro il privilegio dell’uso di una macchina fornita dal Parlamento. Non dite – ha dichiarato in sintesi Tsipras – che con uno stipendio di 6.000 euro mensili non potete permettervi un leasing da 500 euro al mese. Certe debolezze si possono anche capire. Ma sono un indizio poco promettente. Fossero soltanto questi i problemi di Tsipras nei rapporti con il suo partito. Contando le percentuali di voti emersi dal Comitato centrale, dove si è discusso dell’accordo con le “Istituzioni” – 60% a favore, 40% contro – si deduce che i suoi membri ragionano ancora con una strategia politica del 5% (dato delle elezioni del 2009). E non è un buon viatico per i prossimi mesi, perché riducono gli spazi di manovra di Tsipras, il quale dovrà scegliere se governare e applicare misure impopolari o tenere unito il partito, che poi un partito non è, ma una galassia di piattaforme.
Questa forte opposizione fa venire alla mente un episodio simile. Quando Antonis Samaras, l’ex Pprimo ministro, dopo aver vinto le elezioni del 2012 con una linea anti-memorandum, riunì il suo gruppo parlamentare per annunciare la scelta della politica dettata dal memorandum. Da quella riunione uscirono ventidue deputati che rifiutarono di condividere la scelta di Samaras. Tra loro anche Panos Kammenos, oggi alleato scomodo di Tsipras. Dal Comitato centrale di Syriza non è certamente uscita una immagine di unità, ma un caleidoscopio di posizioni. Tant’è che molti personaggi importanti hanno espresso pubblicamente il loro dissenso. Alcuni cominciano già ad accennare a un possibile referendum da tenere a giugno (“in Svizzera sono soliti tenere consultazioni referendarie per gli argomenti più svariati, e allora perché non potremmo adottarne l’esempio?”), altri ,come il responsabile economico del partito, criticano aspramente la conduzione delle trattative con l’Europa attaccando direttamente Varufakis, altri ancora sono ormai chiaramente a favore di un’uscita dall’euro (ma illustrando le proprie proposte su un quotidiano inglese). Il “marxista eccentrico” ha escluso un’uscita dall’euro – “Sarebbe come ritornate al neolitico” -, ma ha aggiunto che prima o poi si dovrà discutere di ristrutturazione del debito e si sta preparando per il prossimo Eurogruppo, sede in cui dovrà presentare delle proposte concrete, cioè accompagnate da numeri (che poi sono i denari dei greci), in ottemperanza a quanto stabilito dall’accordo.
Questo accordo con la lista dei “compiti a casa” – la si può chiamare come si vuole, stando alla disfonia di interpretazione tra l’Eurogruppo e il governo Tsipras – è stata oggetto di una forte polemica con l’opposizione che chiedeva che venisse presentato in Parlamento, discusso e ratificato. Dopo un nebuloso tira e molla, l’accordo verrà soltanto discusso in Aula – secondo il regolamento bastano un paio di ore di dibattito -, ma non votato. La ragione è semplice: l’opposizione, a esclusione dei comunisti, ha dichiarato che avrebbe votato a favore. Un vantaggio politico che Tsipras non può concedere agli avversari perché potrebbe essere interpretato dall’opinione pubblica come un prolungamento temporale, concesso dalle “Istituzioni”, del tanto famigerato Memorandum.