LIPSIA — Il ministro degli Interni in Germania, Thomas De Maizière, ha espresso ultimamente la rabbia, che anche altri politici, in modo particolare dell’aerea democristiana, hanno con le Chiese perché permettono ai profughi, cui non è stato concesso il diritto di permanenza, di rimanere nei propri spazi ecclesiali, anche contro (almeno a prima vista) le leggi dello stato stesso. Dico a prima vista perché in realtà le Chiese cercano di collaborare con lo stato e di rispettarne le leggi. “La costituzione vale per tutti, anche per le Chiese” — questo il messaggio-avvertimento alle Chiese evangelica e cattolica del ministro degli Interni, che in un paragone, al limite dell’indecenza, ha paragonato il Kirchenasyl (asilo politico nella chiesa) con la sharia, insomma con il tentativo di dedurre direttamente dal Corano la “legge” per uno stato.
Il tema è stato trattato anche di recente in un editoriale della Frankfurter Allgemeine Zeitung (“Fuga nello spazio ecclesiale”) dal giornalista Reinhard Bingener, che, pur difendendo la priorità delle leggi statali, ha citato alla fine uno dei grandi teologici evangelici viventi, Eberhard Jüngel (1934), il quale afferma che “alle comunità ecclesiali è lecito intraprendere il tentativo di affrontare lo stato con l’autorità del Cristo mendicante”. Eberhard Jüngel è stato fino al 2003 professore di teologia sistematica e filosofia della religione ed è conosciuto anche in Italia per la la sua opera Dio come mistero del mondo. Sul fondamento della teologia del Crocifisso nello scontro tra teismo ed ateismo.
La sua riflessione sul “Cristo mendicante” non è insomma una questione di emozioni o di sentimentalismo, ma una reale riflessione a partire dal centro della teologia della misericordia di Dio. La Chiesa cattolica, con il primo viaggio di papa Francesco a Lampedusa, è stata invitata a riflettere dalla sua massima autorità sul tema dell’immigrazione.
Vorrei evitare ogni polemica e limitarmi solo a questa domanda: con quale autorità il ministro di uno stato pone lo stato stesso e il suo supposto atteggiamento di neutralità come il criterio ultimo ed unico di comportamento nei confronti del problema dell’immigrazione, politica e non? Quasi che gli stati, nella loro supposta “laicità”, abbiano preso nella loro storia sempre le decisioni umanamente più convincenti. Bingener ha ragione a paragonare il Kirchenasyl con una “spina nella carne”, che deve essere “sopportata” come qualcosa da cui lo stato di diritto può essere arricchito. La formula è ovviamente molto “difensiva”. Si potrebbe in modo più “offensivo” dire che la Chiesa in Europa da secoli si occupata con il suo Kirchenasyl dell’incarnazione della misericordia nella storia europea, e che nella sua storia, per esempio in quella del francescanesimo, ha messo le fondamenta sia dello stato di diritto che dell’economia di mercato (Olivier Boulnois). Non vorrei qui cimentarmi in un Kulturkampf al contrario, ma limitarmi a raccontare alcune delle cose che le Chiese in Germania stanno facendo per gli immigrati.
Una pagina della rete in cui si possono trovare molte informazioni utili su questo tema è il sito della Ökumenische Bundesarbeitsgemeinschaft. Asyl in der Kirche (Comunità di lavoro ecumenica federale. Asilo politico nella Chiesa), in cui in un articolo del maggio del 2014 vengono offerti i seguenti dati: nel 2011 c’erano 32 casi di asili politici nelle chiese, mentre nel maggio del 2014 il numero è salito a 87. Un caso che ha provocato scandalo anche a livello dei media è stato quello della polizia bavarese, che ha respinto in Polonia una donna cecena con quattro figli entrando nei locali di una parrocchia in Augsburg nel febbraio del 2014. La donna vescovo più famosa della Germania, Margot Käßmann, ambasciatrice del giubileo della riforma protestante del 2017, ha preso invece la difesa dei tentativi di Kirchenasyl (15 febbraio scorso), in polemica con gli attacchi ad esso del ministro degli Interni e di molti politici della Cdu (unione dei cristiani democratici) e della Csu (i democratici cristiani bavaresi).
Il lavoro ecumenico per il Kirchenasyl cerca di riflettere la situazione legale non solo a livello tedesco, ma europeo, chiedendo a Strasburgo delle leggi più flessibili, e basa il suo lavoro sulla Charta di Groningen del 1987, in cui rappresentanti di diverse comunità ecclesiali si erano incontrati per denunciare la situazione allarmante dei profughi e di chi cerca asilo politico in Europa. Da quell’anno ad oggi la situazione non è solo allarmante, ma tragica, come dimostrano i morti nel Mar Mediterraneo.
Ricercando in rete nella pagina della MDR-Turingia (Radio televisione della Germania centrale) si trovano ulteriori interessanti informazioni: sono almeno otto le comunità ecclesiali che offrono asilo politico a profughi da diverse parti del mondo, e si elencano le attività e le regole che permettono di ricevere Kirchenasyl: l’insegnamento della lingua tedesca è una di queste. La guida della parrocchia (il parroco e i suoi collaboratori) e il consiglio parrocchiale prendono la decisione sul chi ospitare e di informare la regione (Land) sugli ospiti accolti. Non si tratta solo di profughi da paesi in guerra, ma anche da paesi con una forte crisi economica, per esempio la Bulgaria. L’80 per cento dei profughi respinti dalla Germania in questo paese diventano dei senza tetto.
Se si tiene conto che nel giornale citato la notizia principale riguardava la crescita economica inaspettata in Germania ed in Europa, pur tenendo conto della stagnazione in Francia e in Italia (che spesso nel Mediterraneo ha svolto un lavoro eroico per i profughi), ci chiediamo quanto siano oggi disponibili politici, anche appartenenti ai partiti democristiani, a prendere il papa sul serio nel suo no ad un economia dell’esclusione. Si, tratta di una “spina nella carne” che non è solo da sopportare, ma che ci pone una demanda concretissima: quale è l’uomo che vogliamo educare?