La storia ha molti difetti, spesso non ci fa capire cosa accadrà nell’immediato e ci pone dinnanzi a cambiamenti radicali senza che possiamo per tempo adeguarci; ma anche molti pregi, con i suoi ricorsi. Allora chiediamoci insieme: che cosa dobbiamo vedere nella delegazione bipartisan di parlamentari francesi, composta da Jacques Myard (Ump), Gérard Bapt (Ps), Jean-Pierre Vial (Ump) e dal centrista François Zocchetto, che pochi giorni fa sono andati a Damasco a colloquio con Bashar al-Assad? E tentiamo di darci una risposta. Prima di tutto politica in genere; è risaputo che in campo internazionale gli amici possono diventare nemici in un batter d’occhio, per poi tornare ad essere amici con la stessa impressionante velocità. Né lasciamoci fuorviare dalle parole di Hollande, che ha preso le distanze dal viaggio dei quattro deputati e ha detto che Assad è “il principale responsabile della disgrazia che ha colpito il suo popolo” e che “non è un interlocutore credibile per lottare contro il Daesh e preparare l’avvenire della Siria”. 



Intendiamoci, nei rapporti diplomatici ad alto livello l’amicizia non ha lo stesso significato di quella che c’è fra persone per così dire normali, che non rivestono ruoli di potere: qui il concetto di amicizia è profondamente mediato da altre e più contingenti circostanze, condite da ragionamenti di realpolitik da cui raramente si sfugge per lealtà. Basta ricordare che solo due anni prima dello scoppio dei moti estremisti in Siria, l’allora presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano insigniva Assad di un’alta onorificenza come tessitore di rapporti di pace nel quadrante mediorientale; salvo poi, due anni dopo, ritirare quella stessa onorificenza su pressione della comunità internazionale, che mirava alla demonizzazione del personaggio Assad. 



È dunque comprensibile, se non prevedibile, che i più grandi accusatori del regime siriano, quelli che fino a ieri hanno sostenuto le milizie jihadiste fin alle porte di Damasco e hanno permesso la nascita di Daesh e poi di Isis, oggi tentino un riavvicinamento al presidente, vincente alle urne e fra la popolazione. Emerge infatti dall’incontro la certezza che l’alternativa ad Assad è solo il caos e che dunque meglio rimanga lui. Lo ha rilevato anche Rachida Dati (Ump), ex ministra di Sarkozy e attualmente sindaco del VII dipartimento di Parigi, dicendo che forse sì, “il solo modo per una soluzione politica di questo conflitto è quella di ristabilire il contatto con il regime di Assad? Sì, forse. Bisogna rifletterci”. 



Peccato che durante gli scontri più duri in Siria chi osava dire la stessa cosa era tacciato di essere un reazionario o peggio un complice del presunto carnefice. La questione politica va di pari passo con quella più propriamente economica e ci racconta come la guerra porti sempre con sé il concetto di ricostruzione. E allora che cosa è meglio di un incontro al vertice fra “coraggiosi” parlamentari indipendenti partiti “a titolo personale” e il presidente di una nazione che vede parte del suo territorio in macerie?

Nel frattempo altri Paesi europei rimangono inesorabilmente a guardare, come l’Italia, che ancora si trastulla in vaghe e tentennanti prese di posizione per questo o quell’altro Paese suggerito da Washington o Bruxelles. Ma la Francia su questo è recidiva, visto che anche in Libia la guerra venne portata avanti per due motivi: zittire una volta per tutte Gheddafi e soffiare proprio all’Italia i vantaggiosi contratti petroliferi che con il Colonnello aveva stipulato. Davanti a questo incontro, e ancor prima alla delegazione Hollande-Merkel da Putin durante il picco della crisi ucraina, bisognerebbe chiedersi a cosa serva questa Europa che obbliga all’unità solo quando deve imporre riforme e austerità. Forse, e non penso di sbagliare, serve solo a fare da cornice agli affari e alla volontà di potenza di alcuni Paesi che finora hanno costruito le loro fortune sulle nostre disgrazie e se possibile le hanno acuite per strapparci dalle mani anche l’ultimo briciolo di sovranità nazionale.