Recentemente papa Francesco è tornato a parlare dell’Argentina, per allertare sul pericolo della penetrazione dei narcotrafficanti nel Paese. È arrivato a usare il termine messicanizzazione, provocando la reazione dell’Ambasciata del Paese centroamericano per l’uso secondo loro improprio del termine. La cosa che più colpisce è come la curiosità mediatica si sia incentrata più sulla querelle lessicale che sul pericolo annunciato da Bergoglio. Che giorni fa, ritornando sul tema, ha espresso il dubbio che l’Argentina, oltre che essere consumatore, si sia trasformata da Paese di transito in produttore.
Detto fatto: in questi giorni è scoppiato un caso eclatante che dimostra quanto i sospetti di Sua Santità su di un fenomeno ormai esteso a molte altre zone del Paese non fossero infondati. A soli 6 km in linea d’aria con la casa Rosada, sede del Presidente, è stata denunciata la presenza di un vero e proprio Stato nello Stato comandato da un cartello della droga peruviano, operante all’interno di una villa miseria (la 11.14 situata nel quartiere di Bajo Flores di Buenos Aires), che dispone di dieci laboratori ed è protetto da un vero e proprio esercito formato da ex militari peruviani.
La cosa più eclatante è che la persona che denuncia tutto questo è stata incaricata a suo tempo dal Governo, ma una volta presentato il suo lavoro e appurata la gravità della situazione non è stato preso nessun provvedimento. A raccontarcelo è proprio Jorge Rodriguez in persona, protagonista di questa incredibile vicenda, intervistato durante una conferenza stampa sul tema svoltasi a Buenos Aires e organizzata dal “Movimento Bien comun” di Gustavo Vera.
Com’è iniziata la sua inchiesta?
In primo luogo vivo in un quartiere molto vicino all’insediamento 1-11-14 e poi anche attraverso l’aiuto di amici tossicodipendenti mi sono reso conto della gravità della situazione. A un incontro di organizzazioni dei diritti umani avvenuto nel 2011 ho informato della cosa l’ex ministro della Sicurezza Nilda Garré, che in seguito mi ha incaricato di svolgere un’indagine per conto del Governo. Non solo sulla situazione reale del posto, ma anche su come si sia creata una zona che potremo definire priva di ogni controllo da parte dello Stato. Il mio lavoro è durato due anni e ha incluso anche molti viaggi in Perù per individuare e studiare le radici del caso.
E cos’ha scoperto?
Che parte della Villa, esattamente 15 isolati, è sotto il controllo diretto del cartello peruviano della famiglia di Marcos Antonio Estrada Gonzales e conta ben dieci laboratori dediti alla produzione di cocaina al 93% di purezza, presidiati da ben 300 uomini armati fino ai denti e tutti ex appartenenti alle Forze armate peruviane o all ‘ex Movimento rivoluzionario Sendero luminoso.
Ogni laboratorio quanto produce giornalmente?
Circa dieci chili di cloridrato di cocaina, che ha un valore commerciale di 120.000 dollari. Quindi ci sono 1.200.000 dollari di produzione quotidiana da parte dell’intera struttura. Una cifra gigantesca.
E al termine della sua indagine cos’è successo?
Nel corso del mio lavoro ho consegnato più di 200 fascicoli. A un certo punto avviso che in una data prestabilita, in un tugurio chiamato Piel Morena, ci sarà una festa alla quale parteciperanno, oltre all’intero clan del cartello Estrada Gonzales, anche circa 200 persone che costituiscono quasi l’intera organizzazione, tra le quali molti pusher che smerciavano la droga nell’intera Buenos Aires. Un’occasione ghiotta per dare un colpo mortale all’intera banda. Comunico il dato al magistrato Cristina Caamano, all’epoca alle dipendenza dirette del Ministero di Garré, il 12 gennaio 2013. Mi stavo preparando per partecipare all’evento da infiltrato, insieme a un’amica, quando alla mia richiesta di inviare sul posto un’equipe fotografica e una squadra per effettuare l’intervento fatta molto prima mi risponde di non disporre di quanto da me richiesto, augurandomi sarcasticamente anche una “felice festa di compleanno”. Questo significava che una funzionaria facente parte di un Ministero nel quale agiva quasi come vice non disponeva di uomini per compiere un’operazione importantissima.
Iniziò a sospettare che la boicottassero?
Quando vidi che con il trascorrere del tempo, e nonostante la mole di prove prodotte dal mio lavoro, anche se portata a conoscenza addirittura della Presidente, non succedeva nulla cominciai a pensare che le indagini svolte con grandissimi rischi sia personali che di forze federali invece di combattere il crimine servissero a tariffarlo, facendo entrare la politica nel gioco della corruzione nel quale erano immischiati organi di polizia e di giustizia, per coprire l’attività.
È riuscito a raccogliere prove concrete di questi suoi sospetti?
Durante una mia visita a Lima mi è stato detto che il cartello Estrada paga 20 milioni di pesos (circa 1,5 milioni di dollari, ndr) di tangenti ogni mese…
E quindi cos’ha deciso di fare?
Ho denunciato la cosa al Procunar, che è l’ente specializzato nella lotta al narcotraffico, e anche penalmente al Tribunale numero 12 il cui Giudice, Sebastian Ramos, mi ha affidato una scorta: ma con il tempo ho scoperto che invece di proteggermi, questi uomini di fatto mi stavano spiando riferendo i miei movimenti.
Ma da quando risultava operativo il cartello di Estrada in Argentina? Non è mai stato fatto nulla per sradicarlo?
Estrada arriva nel Paese illegalmente nel 1999 e assieme a suoi ex compagni di guerriglia di “Sendero luminoso” uccide Julio Chamorro Revollar, che comandava i traffici nella 1-11-14. Per questo crimine viene arrestato nel 2001, viene condannato a 4 anni, ma dopo poco tempo è liberato. A questo punto organizza una guerriglia piena di attentati, dei quali uno, avvenuto durante una processione nel quartiere di bajo Flores, nel 2005, provoca una strage. Il 6 maggio del 2007 viene organizzata una gigantesco operazione, con oltre 600 uomini, dal giudice Jorge Ballestero, che però, nonostante alcuni membri della banda vengano arrestati, si rivela un buco nell’acqua perché i capi, avvertiti in anticipo, fuggono. Viene addirittura organizzata una festa per celebrare lo “scampato” pericolo.
E poi?
Estrada viene catturato in Paraguay estradato e processato, ma assolto per la strage e, nonostante le pesanti accuse di narcotraffico, condannato a soli 10 anni di carcere. Dalla sua cella nella prigione di Villa Devoto ha continuato a operare indisturbato ed è stato rimesso in libertà. Attualmente vive in una megavilla del quartiere di Ezeiza.
Fin qui il racconto di Rodriguez, che successivamente si unisce al movimento di Vera mettendogli a disposizione la sua documentazione, che viene trasmessa al Papa. Bergoglio si stupisce che un caso così eclatante sia stato di fatto insabbiato dalle autorità, ma la conferenza stampa fa esplodere la faccenda a livello mediatico, con gran soddisfazione di Francesco che, in una telefonata a Gustavo, commenta come “bisogna reagire con forza contro un’organizzazione che sfrutta e corrompe i giovani, i poveri e le persone fragili con il cinico commercio della droga”. Aggiunge Vera: “Colpisce il silenzio e la fattiva complicità delle autorità, in primo luogo dell’ex ministro Carré e dei suoi collaboratori, tra i quali mi sorprende la presenza di una cittadina inglese, Natalia Feldman, responsabile dell’area dei diritti umani del Ministero e con alte funzioni operative. È nipote del giornalista Horacio Verbitsky (autore di diversi testi sui desaparecidos ed ex appartenente al gruppo politico Montonero, ndr), nonché figlia dell’ex responsabile dell’ufficio stampa dell’Ambasciata inglese per 20 anni. Non ha mai accettato la cittadinanza argentina e la legge proibisce a cittadini stranieri di occupare incarichi governativi, a meno di un apposito decreto. Cosa ci faccia lì con un simile curriculum non si capisce, a meno di interpretare l’inazione delle autorità sul tema narcotraffico come un qualcosa di simile all’ingerenza inglese nel traffico di oppio in Cina di due secoli fa che la portò a dominare economicamente il Paese asiatico”.
(Arturo Illia)