NEW YORK — Hillary ci riprova. Ci aveva creduto otto anni fa, ce l’aveva messa tutta, ma l’America democratica le aveva preferito Obama. Adesso che Obama non c’è più — ci sarà ancora per un annetto e mezzo, ma politicamente è defunto con le elezioni di midterm — rispunta la Signora Clinton.
Negli Stati Uniti si è aperta la stagione delle candidature, ma mentre sul fronte repubblicano sembrano già esserci più pretendenti che elettori, i democratici appaiono più guardinghi. Tranne la suddetta Hillary Rodham Clinton, che ieri ha messo fine alle speculazioni con un breve video in cui, tra volti e speranze di quel che una volta si chiamava middle class ed oggi everyday Americans, ci ha detto “I’m getting ready to do something too: I’m running for President” — anch’io sto preparandomi a qualcosa: mi candido alla Presidenza”.
Di molteplici tentativi nella storia delle presidenziali americane ce ne sono stati parecchi, su entrambe i fronti. Certi andati a buon fine, altri non proprio. Si va dal doppio ko di Charles Pinckney nel lontano 1804 a quello del repubblicano Thomas Dewey nel dopoguerra, a quello di Adlai Stevenson battuto due volte da Eisenhower il cui vice, Richard Nixon, arrivò anche lui alla presidenza al secondo tentativo. Insomma, come sempre in politica sembra proprio che si debba stare “in bollore” per un tot prima di essere pronti al grande salto. E’ che Hillary la volta scorsa non è caduta di fronte al Paese, è caduta di fronte al proprio partito, soccombendo alla “speranza Obama”. Ce la farà questa volta a emergere dall’interminabile teoria delle primarie e strappare la candidatura? Siamo pronti dopo il primo presidente African American alla prima candidata-e-forse-presidente donna?
Hillary non ispira simpatia. Lasciamo stare le persone ossessionate dai diritti delle donne che riporterebbero in vita anche Golda Meir e la Thatcher pur di averne una a comandare. Ma se guardiamo gli everyday Americans non mi sembra facile rintracciare punti reali di contatto, di sintonia e familiarità con Mrs. Clinton.
Non c’è feeling. E feeling e familiarità nelle elezioni americane sono tanto importanti quanto i soldi da spenderci per far sapere a tutti che… ci sono le elezioni, che tu esisti e vuoi pure diventare presidente. Gli americani vorrebbero poter far accarezzare figli e nipoti dal presidente come in Italia si fa (meno di una volta, ma ancora si fa) col Papa. Nessuno se la vede questa scena con Hillary. Ma forse anche questo è un segno dei tempi, di una politica che rinuncia al suo “volto umano” scegliendo di diventare esclusivamente “schieramento”.
Forse anche gli everyday Americans sono ormai pronti a digerire questo passo. A questo livello Hillary può farcela. Pur non suscitando slanci emotivi o bagliori di speranza e non infiammando né i cuori né le menti, la Signora Clinton potrebbe regalare ai democratici una nuova comfort zone. Con un approccio non così retoricamente sbilanciato a sinistra come quello dell’amministrazione Obama, la Clinton potrebbe conquistarsi una bella fetta di quell’elettorato moderato che resta sempre il core business, il nocciolo duro delle elezioni americane. Un elettorato infastidito dalla “iperideologicità” inconcludente di Obama (sia sul fronte estero che su quello interno), ma tutt’altro che desideroso di finire in mano al “partito dei ricchi” — i repubblicani — soprattutto in tempi di altalenanti fortune economiche.
Ancor prima di guardare cosa succede in campo avversario con Rubio, Cruz, Rand Paul, Jeb Bush, Chris Christie o chi altri, i democratici devono chiedersi se è questo il cambio di direzione di cui hanno bisogno. E devono chiedersi se la persona adatta a traghettarli in quel territorio, ad un’altra vittoria che oggi, sondaggi e numeri alla mano sembra una chimera, è proprio quella donna lì, Hillary. Lei ci ha appena fatto sapere che ne è piuttosto convinta.