Sono oltre 25mila, secondo i dati aggiornati in un recente Rapporto delle Nazioni Unite, i foreign fighters che combattono nelle fila dello stato islamico in Siria e Iraq e circa 6.500 quelli che al momento si troverebbero in Afghanistan ma anche nello Yemen, in Pakistan, in Libia e in Somalia. I combattenti provengono da circa 100 nazioni — tra le quali l’Italia, da cui sono partiti circa 80 miliziani — e sono cresciuti del 71 per cento negli ultimi 8-9 mesi.



Quello che spaventa di più, però, non sono soltanto i numeri ma anche la composizione di questo esercito del terrore.

Sempre secondo le Nazioni Unite, infatti, il fenomeno è quanto mai trasversale sia in termini geografici sia per le caratteristiche dei combattenti. I guerrieri del califfato provengono dal Maghreb e dai paesi del Vicino Oriente, come è facile aspettarsi, ma anche dall’Europa — con in testa la Francia (1.200 combattenti) e la Gran Bretagna (600 reclutati secondo il Rapporto, quasi 2mila secondo fonti di intelligence) —, dalla Turchia, dalla Russia, dagli Stati Uniti, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. 



Mai un esercito, se così vogliamo chiamarlo, è stato tanto variegato in termini geografici. Non solo, dunque, non esiste un chiaro riferimento “localistico”, ma non esiste neppure un chiaro criterio identificativo del “combattente tipo”. Nella nebulosa dei guerriglieri dello stato islamico non ci sono solo giovani immigrati arabi e musulmani di seconda o terza generazione, ma anche convertiti all’islam (un quarto dei foreign figthers) o, più semplicemente, giovani attratti da una visione rivoluzionaria radicale e distruttiva, dalla ricerca di un’identità totalizzante o da chissà cos’altro. Non ci sono solo ragazzi diseredati ed emarginati, ma anche figli di famiglie benestanti e perfettamente inserite nel tessuto sociale di appartenenza. E non si tratta solo di uomini: il 16 per cento dei giovani reclutati nelle fila dell’Isis è composto da donne.



Per dirla in altri termini, l’ipotetico jihadista potrebbe essere sì il giovane immigrato islamico con difficoltà di inserimento nel nuovo contesto politico e sociale, e che ha mantenuto contatti con la società di appartenenza, ma anche il figlio o la figlia del nostro vicino di casa, che non ha mai messo piede in una moschea né in un paese arabo ma viaggia spesso in rete. Come è accaduto, ad esempio, a Shakil Ahmed, un consigliere laburista della città inglese di Rochdale, che si è visto comunicare che il proprio figlio Waheed era stato arrestato in Turchia, assieme ad altri otto concittadini, perché voleva attraversare il confine con la Siria per unirsi agli jihadisti dello stato islamico. E come è accaduto anche per Massimiliano, Filippo, Sergio, Fabio e tutti gli altri ragazzi italiani che hanno deciso di chiudere per sempre la porta sulle loro vite considerate, chissà, forse troppo “abitudinarie”, spogliandosi definitivamente della loro identità “occidentale” fino a renderla il simbolo stesso di quel male contro cui combattere fino alla morte e da estirpare per sempre. 

Si tratta di ragazzi che avevano già militato in alcuni gruppi estremistici in Italia ma anche di giovani di cui le forze di polizia non avevano mai sentito parlare e che conducevano quella che potremmo definire “una vita normale”. E’ questa la risultante di una sorta di “conversione 2.0”, fatta di un sapiente indottrinamento con tecniche pervasive e rapide che nascono e si sviluppano in rete e sui social media. E così i “futuri miliziani” si trovano in poco tempo a passare dalla realtà virtuale ai campi di addestramento fino ai teatri di guerra.

E’ questo lo schema di reclutamento dell’Isis che oggi si presenta, dunque, come una struttura ben radicata in alcuni territori tra cui parte dell’Iraq, della Siria e in alcune città e villaggi libici — grazie anche ad una serie di alleanze che è riuscita a stringere con gruppi estremistici locali — con un esercito di foreign figthers sempre più numeroso e con una notevole capacità attrattiva, specie nei confronti dei più giovani. Una ricetta senza ombra di dubbio micidiale, che richiede risposte complesse, articolate e decise, sia negli scenari reali sia nella “realtà virtuale”.