Per la tredicesima volta Vladimir Putin è apparso in televisione per rispondere alle domande dei russi: ne sono arrivate più di tre milioni e Putin ha risposto a una settantina durante quasi quattro ore di diretta. Un uso indubbiamente “proprio” del mezzo televisivo che, se non è certamente di per sé indice di democrazia del sistema, è altrettanto indubbiamente un buon strumento di propaganda, del tutto alla pari con i suoi interlocutori occidentali, si pensi solo ai discorsi dei presidenti americani. E, infatti, il suo livello di consenso sembra tutt’altro che in diminuzione, malgrado la difficile situazione in cui versa il Paese.



Una buona parte delle domande, e delle risposte di Putin, si è ovviamente concentrata proprio sulla situazione del Paese e il presidente russo ha cercato di tranquillizzare i suoi concittadini, senza peraltro negare le difficoltà. Putin ha riconosciuto i danni provocati all’economia russa dalle sanzioni imposte da Obama che, secondo lui, dureranno ancora per anni, in quanto non hanno nulla a che fare con l’Ucraina, ma sono solo una mossa politica contro la Russia.



Putin ha però affermato che le sanzioni alla fine rafforzeranno la Russia. Una dichiarazione di fede nella forza della Russia da un lato, dimostrazione di quel patriottismo che ha celebrato come positivo in un’altra risposta, ponendolo in contrasto con la negatività del nazionalismo. Dall’altro, l’apertura a tutti quegli Stati che vorranno accettare la sua offerta di collaborazione, ivi compresi gli Stati Uniti, anche se a suo giudizio questi ultimi “non cercano alleati, ma vassalli”, cosa che la Russia non può accettare. Circa gli Usa, Putin ha anche affermato che il livello del loro debito pubblico è fonte di preoccupazione per l’intera economia mondiale.



Per quanto riguarda la politica internazionale, due temi sono emersi come importanti: Iran e Ucraina. La decisone di Putin di togliere l’embargo alla consegna all’Iran dei sistemi anti-missile S-300, grosso modo l’equivalente dei Patriot americani, ha suscitato parecchie perplessità negli Usa e in Israele. Il contratto risale al 2007, ma era stato congelato nel 2010 in seguito alle sanzioni contro l’Iran per la questione nucleare, ma ora la Russia sostiene che, trattandosi di un sistema difensivo, l’S-300 non è incluso nell’embargo.

Per Putin si tratta di un atto distensivo verso Teheran per facilitare l’accordo in discussione, che dovrebbe impedire all’Iran di costruirsi una bomba nucleare per almeno un decennio. Anzi, sempre per Putin, la valenza difensiva dei sistemi antimissile rappresenta un elemento di stabilità nell’area e ciò dovrebbe tranquillizzare anche Israele, scartando l’obiezione che sarebbe stato meglio aspettare che l’accordo fosse effettivamente siglato. Ha poi fatto presente che in Medio Oriente gli Usa stanno vendendo molte più armi che non la Russia.

E’ evidente che l’obiettivo di questa mossa è rafforzare la posizione della Russia in quest’area nevralgica, facendo anche intuire il ruolo che Mosca ha probabilmente giocato nelle trattative tra Iran e Stati Uniti. Putin ha però sottolineato anche gli aspetti economici della vicenda, visto che sono in ballo circa un miliardo di dollari, e ha anche citato la questione delle portaelicotteri Mistral, la cui consegna alla Russia è stata bloccata dalla Francia.

A questo proposito Putin, pur dichiarando che la Russia può far benissimo a meno delle Mistral per la sua difesa, ha affermato che i contratti vanno rispettati e che si aspetta che la Francia restituisca quanto già pagato da Mosca. Anche per i russi, business is business.

Anche il discorso sull’Ucraina è stato lineare e, in un certo senso, “aperto”. A una precisa domanda sull’argomento, Putin ha dichiarato di escludere assolutamente una guerra con l’Ucraina e ha negato di avere avuto, dal presidente ucraino Poroshenko, l’offerta di annessione del Donbass. La Russia si aspetta la completa attuazione degli accordi di Minsk, accusando il governo ucraino di andare a rilento nella loro applicazione, soprattutto per quanto riguarda la rimozione del blocco economico e del pagamento di stipendi e pensioni. Ha poi aggiunto le consuete dichiarazioni di rito sulla non presenza di militari russi in territorio ucraino.

Insomma, la responsabilità della crisi ucraina è per Putin solo dell’Occidente e dell’attuale governo di Kiev, una versione un po’ troppo di comodo, ma che ha senza dubbio fatto presa sugli ascoltatori.

Putin ha anche condannato l’omicidio di Boris Nemtsov, un suo oppositore ucciso a febbraio nei pressi del Cremlino, elogiando i servizi di sicurezza per la rapidità con cui hanno rintracciato e arrestato gli attentatori, alcuni ceceni, ma dichiarando di non sapere chi siano i mandanti.

Forse l’unico punto del discorso in cui Putin è sembrato sulla difensiva, ma ha potuto subito ripartire all’attacco denunciando a sua volta come politico l’omicidio di Oles Buzina, un giornalista ucraino filorusso ucciso ieri nella sua abitazione a Kiev. Questo omicidio segue di poche ore l’uccisione di un ex deputato del partito del deposto Yanukovich, anche se non è escluso possa trattarsi di un suicidio. Secondo la BBC, negli ultimi tre mesi sono morti almeno otto alleati del deposto presidente e non per tutti è stato accertato trattarsi di suicidio. Sempre secondo la BBC, in Ucraina diversi commentatori pensano probabile un coinvolgimento in questi fatti sia di sostenitori che di oppositori dell’attuale governo.

E’ sempre più evidente che non è per questo esito che tanti ucraini sono scesi sul Majdan e molti vi sono morti. E’ anche giunto il momento perché Occidente e Russia smettano di giocare la loro partita sulla pelle degli ucraini.