“Non soltanto l’Europa ci fa mancare la sua solidarietà fattiva, ma manda anche un team straniero per mettere l’Italia sotto tutela in quanto sospetta che la stiamo imbrogliando sulle quote degli immigrati”. E’ il commento di Franco Frattini, ex ministro degli Esteri ed ex commissario europeo per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza, sui risultati del vertice di giovedì sera per prendere provvedimenti sull’emergenza immigrazione. La Commissione Ue ha deciso che i fondi a disposizione saranno triplicati e che “l’area operativa di Triton sarà estesa nell’ambito del nuovo piano, alla luce del rafforzamento di risorse e mezzi”. Triton è il nome dell’operazione navale finanziata dall’Ue che dal primo gennaio 2015 ha sostituito la missione italiana Mare Nostrum.



Triplicare i fondi di Triton è una risposta sufficiente?

Sono stati stanziati gli stessi fondi che l’Italia impegnava da sola per Mare Nostrum. Un fatto importante è che alcuni Paesi hanno dichiarato di mettere a disposizione dei mezzi. Il fatto di avere più fondi e più mezzi è certamente un dato positivo, a condizione che la missione Triton diventi una missione di “search and rescue”, cioè di salvataggio in mare.



Quali conseguenze comporta il fatto che non lo sia?

Se una nave britannica salva un gruppo di persone, dove vanno questi rifugiati? La legge del mare dice che devono andare a Londra, perché l’imbarcazione inglese è territorio britannico. Cameron però ha detto che ciò non è possibile in nessun modo, e quindi i migranti saranno accompagnati in Italia. Queste sono le caratteristiche di una missione di pattugliamento e di contrasto, e non di soccorso. A ciò si aggiunge una seconda grave carenza…

Quale?

A Triton 2 non sarà nemmeno consentito di affondare i barconi in mare. I migranti sono trasferiti sulla fregata militare, la barca utilizzata per portarli fino a lì è abbandonata in mare e prontamente dalle coste arrivano i trafficanti che se la riprendono.



Che cosa cambia in concreto con Triton 2?

Vedo poco contrasto ai trafficanti, molto pattugliamento, ma ciò che succede dopo il salvataggio in mare è lo stesso di ieri, e cioè i migranti sono portati in Italia, Malta, Grecia o Spagna. I leader dei Paesi membri dell’Ue hanno guardato al loro elettorato, e non invece al bene dell’Europa e alla solidarietà. E così siccome il consenso non c’era, l’accordo non è stato raggiunto.

All’Italia non resta altro che attendere che le decisioni Ue siano attuate?

Questa effettivamente è una possibilità. Ci vorranno parecchie settimane, se non qualche mese, perché l’Onu decida sulla missione di polizia internazionale. Lo stesso vale per i fondi triplicati di Triton, in quanto le procedure contabili europee sono lunghissime. Ci vorrà del tempo anche perché il progetto pilota di distribuzione dei 5mila rifugiati cominci a entrare in funzione, perché si riferisce solo al futuro mentre nessuno ha intenzione di prendersi i migranti che già sono presenti sul territorio italiano.

Che cosa ne pensa dell’ipotesi di un intervento militare in Libia?

Un intervento mirato di polizia internazionale sul territorio libico andrebbe in primo luogo concordato con il governo di Tobruk. Perché si possa passare alla fase operativa sono però indispensabili due elementi che finora mancano: il mandato dell’Onu e una presa di posizione favorevole della Lega araba. Se manca l’ok della Lega araba, non possiamo fare un intervento come degli invasori occidentali. In ogni caso ritengo che non sia questa la strada che vada privilegiata.

 

Secondo lei quindi che cosa dovrebbe fare l’Italia?

Rafforzare il rapporto con il governo libico di Tobruk, riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale. L’obiettivo è l’installazione di alcuni campi di assistenza per gli aspiranti rifugiati sotto il controllo delle Nazioni Unite. E’ una proposta che avevo lanciato nel lontano 2006 davanti al Parlamento Ue, e mi fu detto che volevo creare i campi di concentramento in Libia. Oggi ci siamo accorti che non avere istituito i campi di assistenza espone gli immigrati a percosse, bastonature, torture e uccisioni.

 

Che cosa ne pensa del rifiuto di molti Paesi di distribuire le quote di immigrati tra tutti i membri della Ue?

Ad avermi colpito è soprattutto un altro aspetto. Durante il vertice è stato sollevato il sospetto che l’Italia non identifichi e non prenda le impronte digitali a una parte di coloro che arrivano sulle coste siciliane. Il punto è che senza impronte e identificazione non si può definire quale sia il Paese di prima destinazione del migrante…

 

Da dove nascono questi sospetti sull’operato dell’Italia?

Di fronte ad afflussi così massicci, all’Italia è forse sfuggita l’identificazione di qualche centinaio di extracomunitari. Giovedì si è quindi deciso che l’Ue manderà in Italia una squadra europea per l’identificazione con strumenti fotografici di tutti coloro che si trovano nei campi profughi sul nostro territorio. Di fronte al rischio che l’Italia scoppi, Bruxelles è capace soltanto di mandare un team straniero.

 

Come valuta questa scelta?

E’ un fatto gravissimo perché significa che l’Italia è messa sotto tutela in quanto l’Ue non si fida del nostro lavoro di identificazione dei migranti. E’ giusto rispettare la norma europea, anche se non ci piace. Ma che nessuno si permetta di venirci a sorvegliare, perché vuol dire che oltre a mancare la solidarietà si pensa che l’Italia stia imbrogliando.

 

(Pietro Vernizzi)