E’ una corsa contro il tempo: il terrorismo di matrice islamica fondamentalista si sta allargando nel mondo come una chiazza d’olio che nessuno riesce più a controllare. La strage di studenti cristiani in Keya ha messo davanti a tutti l’impotenza dell’occidente a fronteggiare una situazione ormai sfuggita di mano. In una intervista al Corriere, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha detto chiaramente che l’opzione militare è possibile: “Oggi nei confronti dei gruppi terroristi non possiamo escludere interventi militari ad esempio in Nigeria e Libia” ha detto. L’Italia, ha ricordato, è già dentro quest’ottica visto che fa parte della coalizione militare anti-Isis e il Parlamento ha già dato l’ok a interventi di questo tipo. Che cosa questo possa significare e se davvero siamo a questo punto, il sussidiario.net lo ha chiesto a Franco Frattini, ex ministro degli Esteri del governo Berlusconi.



Tutti – da Renzi a Gentiloni – dicono che già si sta agendo contro le persecuzioni dei cristiani ma non abbastanza. Lei cosa ne pensa? E’ vero o no?

In realtà non si sta facendo nulla. Le nostre azioni per tutelare i cristiani nel mondo iniziano nel lontano 2008 quando da ministro degli Esteri proposi di creare in tutte le ambasciate dell’Unione europea dei paesi a rischio un monitoraggio costante per verificare cosa i governi fanno davvero per proteggere i cristiani.



E cosa è successo?

E’ successo che si è tradotta in una decisione del ministro degli Esteri ma non si è fatto nessun monitoraggio. Se lo avessimo fatto avremmo scoperto che in Kenya la polizia è arrivata sette ore dopo l’attacco terroristico, o che in Nigeria quando Boko Haram fa esplodere una chiesa la polizia si volta dall’altra parte. La cosa più difficile è attuare gli impegni. L’Europa è caduta sull’attuazione di impegni che avevamo preso. 

Adesso è troppo tardi?

Mi chiedo che cosa stiano facendo gli ambasciatori di questi paesi presso l’Unione europea, invece di riportare sulle situazioni. Piuttosto che dire prendiamo altri impegni, io comincerei ad attuare gli impegni già presi.



Gentiloni ha elencato i fronti aperti dell’Italia dicendo che da parte nostra l’opzione militare è già realtà. Che cosa ne pensa?

Sono d’accordo con Gentiloni quando dice così. Il terrorismo islamista vuole deliberatamente distruggere la civiltà occidentale, ci chiamano infedeli da uccidere senza nessun riguardo. L’opzione militare è l’unica che può permettere di sbaragliare queste forze del male. Persino il Vaticano e il Santo Padre dicono che se siamo attaccati ci dobbiamo difendere. Purtroppo oggi per il mondo la difesa non è il porgere l’altra guancia, ma impugnare le armi. 

Come valuta l’appello del papa di lunedì all’Angelus, l’invito alla comunità internazionale a non essere “inerte e muta”?

Ho sempre detto che nell’attuale panorama internazionale papa Francesco è l’unico leader veramente globale. E’ un leader religioso ma i suoi messaggi sono i più forti di tutti. Quando il papa parla di martirio dei cristiani dà un messaggio altamente politico. Sono convinto che il papa è l’unico leader in grado di trasmettere messaggi globali spirituali con un impatto geo politico superiore a quello di qualunque altro leader del mondo.

Ma anche in quest’ultimo caso, quello keniano, l’Onu, pur invocato, ha taciuto. Perché?

La reazione tarda perché ancora si discute, non ci si mette d’accordo e nel frattempo le stragi continuano. Ci vuole una risoluzione Onu che dica con chiarezza che una missione anti terrorismo in Libia, ad esempio, si deve fare con l’uso delle armi.

 

Anche Gentiloni però, come molti altri, dice che le azioni militari talvolta ottengono l’effetto opposto. L’esempio è l’intervento americano in Iraq, che avrebbe dato la stura al terrorismo islamico.

Questa è la scusa che trovano oggi i terroristi, che tutto cioè deriva dall’intervento americano.

 

Invece?

Dire che una azione militare di tredici anni fa, che riguardava un governo sunnita quale quello di Saddam, sia stata l’origine di quanto vediamo oggi è totalmente errato.

 

Perché?

I jihadisti di oggi non hanno niente a che fare con le truppe di Saddam. L’errore semmai è stato un altro, quello di azzerare completamente l’amministrazione irachena, che era una amministrazione solida. Gli americani hanno pensato che tagliando in un colpo solo centinaia di migliaia di soldati iracheni si eliminasse il pericolo di un ritorno di quel regime. Ma questi soldati non erano amici di Saddam, erano professionisti stipendiati che si sono trovati senza stipendio e lavoro e molti di loro sono andati a ingrossare le fila dell’estremismo. 

 

Cambiando scenario: l’Italia sembrava in “prima linea” sulla Libia, poi tutto sembra rientrato, rallentato, sospeso. Cosa pensa della politica del governo?

Penso che sia giusto quello che ha fatto Renzi quando è andato in Russia a cercare un accordo affinché si arrivi a una risoluzione delle Nazioni Unite per una missione militare in Libia.

 

Che tipo di missione? 

Per prima cosa creare un governo quantomeno apparente di unità nazionale e secondariamente un’azione anti-terrorismo contro Isis che si deve fare per forza con le armi. O diamo le armi all’esercito libico riconosciuto internazionalmente o facciamo un’azione autorizzata dall’Onu. Non fare niente non è una opzione. 

 

Il nostro ruolo?

Ha fatto bene l’Italia a dire che questa azione si deve fare, ma oggi vedo troppe incertezze, c’è la posizione di molti Paesi ancora incerta. L’Italia dovrebbe mantenere la leadership di una missione in Libia. Noi siamo in prima linea, se si infiltrano terroristi tra i flussi migratori, arrivano a casa nostra. E’ la sicurezza italiana che è in ballo. 

 

A proposito di Libia: lo scenario che vediamo oggi è cominciato nel 2011, quando lei era ministro degli Esteri. Oggi l’Italia è più debole o più forte di allora sullo scenario internazionale? E nel Mediterraneo in particolare?

L’Italia si è molto avvantaggiata e rafforzata data la sua posizione strategica di guida naturale di una missione in Libia. Ma bisogna farla. Se non si fa l’Italia si indebolisce. In diplomazia, come in fisica, se c’è uno spazio vuoto questo viene occupato da un altro corpo. 

 

Chi, ad esempio?

I francesi innanzitutto. L’Italia deve esercitare le sue potenzialità, cioè la leadership di una missione internazionale. Chiedere l’appoggio a Putin è stato un passo essenziale perché la Russia ha il diritto di veto, se dice di no non si farà mai alcuna missione.

 

Cambiamo ancora scenario: l’aviazione del Kenya ha bombardato le basi di al Shabaab. Queste iniziative unilaterali hanno qualche effetto militare o politico apprezzabile?

Abbiamo lasciato vent’anni fa la Somalia al suo destino e adesso lo facciamo con la Libia. Dopo venti anni la Somalia è nelle condizioni che sappiamo e rischiamo che la Libia diventi come la Somalia. E’ il classico caso di un occidente che abbandona un paese in difficoltà.

 

Intanto il Kenya si è mosso da solo.

Il Kenya ha fatto bene, si è mosso perché ha avvertito l’inerzia della comunità internazionale.