Il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si sono incontrati ieri per quattro ore a Sochi, sul Mar Nero, e alla fine dell’incontro Kerry ha anche incontrato il presidente russo Vladimir Putin. In attesa di conoscere i risultati concreti di questi incontri, è da segnalare comunque la loro importanza, data la situazione di elevata tensione tra Stati Uniti e Russia.
Sabato scorso, 9 maggio, si è tenuta a Mosca una grande parata militare per celebrare la vittoria sulla Germania nazista, una manifestazione di forza militare in cui sono stati esibiti anche nuovi e avanzati armamenti come i carri armati T-14, interamente fabbricati in Russia e giudicati da molti esperti, anche occidentali, i migliori sul mercato.
In conseguenza della crisi ucraina, nessun capo di Stato occidentale ha presenziato alla parata, a parte quello di Cipro e il presidente ceco, che però ha incontrato Lavrov e Putin dopo la parata. Anche Angela Merkel è andata a Mosca e incontrato Putin, ma il giorno dopo. La speranza è che queste schermaglie diplomatiche nascondano una reale volontà di superare l’attuale muro contro muro e ricercare una soluzione ai diversi punti di conflitto, tra i quali emergono le trattative sul nucleare iraniano, la guerra in Siria e la tragedia ucraina.
Sull’Iran sembra esservi un sostanziale accordo sui colloqui diretti a fermare derive militari del nucleare iraniano, che continueranno in giugno con la partecipazione della Russia. Un elemento di frizione si è inserito con la recente decisione di Mosca di togliere l’embargo sulla vendita a Teheran dei sistemi antimissile S-300: i russi sostengono trattarsi di sistemi esclusivamente difensivi con nessun pericolo per i Paesi vicini, ma la decisione ha sollevato forti critiche sia negli Usa che in Israele.
Posizioni invece decisamente opposte sulla Siria, dove gli Stati Uniti vogliono abbattere il regime di Assad sostenuto dalla Russia. Come si ricorderà, nel 2013 Obama aveva l’intenzione di attaccare in Siria, ma lo stesso Papa Francesco si oppose con la famosa lettera a Putin nella sua qualità di presidente del G20. Obama rinunciò all’intervento armato, ma continua a volere un cambio di regime a Damasco, cui si oppone Putin, oltre che l’Iran.
Il timore della Russia è che un governo diverso e sostenuto dagli Usa possa mettere in discussione la sua unica base navale nel Mediterraneo, quella nel porto siriano di Tartus. A parte questi diretti interessi russi, risulta comunque difficile capire in che modo ci si possa liberare di Assad senza far precipitare la Siria e tutta la regione in un disastro ancora più grande di quello attuale, con il rischio di un ulteriore allargamento dell’influenza di Isis o di altri estremisti.
In questa area la partita degli Usa è più complicata di quella della Russia, perché devono trovare un accordo sul nucleare con l’Iran senza compromettere troppo i rapporti con il vecchio alleato saudita, che sta bombardando nello Yemen i ribelli sciiti sostenuti dall’Iran.
L’Europa si presenta defilata in questi scenari, ma è pienamente coinvolta nello scontro diretto tra Usa e Russia in Ucraina, dove la guerra tra Kiev e i separatisti russi ha già provocato più di 6mila morti e un milione di profughi.
L’attuale tregua sembra resistere, ma rimane a rischio senza un accordo definitivo, le cui premesse si spera siano state poste proprio in questi incontri, al di là delle dichiarazioni ufficiali. La ragione vorrebbe che entrambe le parti siano diventate coscienti della necessità di trovare una soluzione, che non può che essere di compromesso, e che dovrebbe tenere conto delle reali volontà dei popoli russo e ucraino, non solo degli interessi delle oligarchie che li governano. L’Unione Europea potrebbe avere in questo accordo un ruolo molto importante, ma il misto di incompetenza e cinismo dimostrato finora non lascia molte speranze.
Oggi John Kerry sarà in Turchia, ad Antalya, per partecipare a una riunione dei ministri degli esteri Nato, per poi tornare a Washington per una riunione con i Paesi del Golfo sulle trattative con l’Iran per la questione nucleare.
Qui si inserisce l’altro rilevante fronte aperto, quello energetico. L’anno scorso, a seguito delle sanzioni per la crisi ucraina e le tergiversazioni dell’Ue, Putin cancellò il progetto South Stream, il gasdotto che doveva portare il gas russo in Europa evitando l’Ucraina. La decisone ha danneggiato diversi Paesi coinvolti, a partire dalla Bulgaria, e diverse società, come le italiane Eni, che aveva il 20% nel consorzio guidato da Gazprom, e Saipem, detentrice di un contratto di circa 2 miliardi di euro per il tratto del gasdotto sotto il Mar Nero.
In alternativa al South Stream, l’Ue sostiene il gasdotto che, attraverso Georgia e Turchia, dovrebbe portare entro il 2019, con il cosiddetto TAP, il gas azero in Italia e da qui in Europa. La risposta russa è stata rapida e durante la recente visita di Putin in Turchia Gazprom e l’ente petrolifero di Stato turco hanno firmato una lettera di intenti per la costruzione del cosiddetto Turkish Stream, per portare il gas russo attraverso il Mar Nero direttamente in Turchia e di qui al confine con la Grecia.
Qualche giorno fa, il presidente di Gazprom ha annunciato l’inizio dei lavori del gasdotto, il cui tratto sottomarino è stato riaffidato alla Saipem, e le prime consegne sono previste per la fine del 2016. L’opposizione americana a questo progetto è stata molto forte, ma non ha evidentemente convinto la Turchia, diventata ormai un punto di passaggio obbligato per una buona parte del gas diretto in Europa, almeno quella del Sud.
La Germania, ad onta delle sanzioni, si approvvigiona di gas direttamente dalla Russia attraverso il North Stream. Forse il fatto che l’ex cancelliere socialista tedesco Schroeder, appena cessato dall’incarico, sia entrato nel vertice di Gazprom qualche peso lo ha avuto.
Anche questo problema potrebbe essere oggetto degli incontri di Kerry in Turchia, con i turchi e forse anche con i greci, che potrebbero trovare qualche interesse ad accordarsi con Mosca per far proseguire il Turkish Stream nel proprio territorio e poi su per la Penisola Balcanica, nei Paesi a suo tempo interessati dallo South Stream. Chissà se Tsipras ne ha parlato con Putin nella sua recente visita a Mosca.