Mi vengono in mente le donne di Rose Busingye che da Kampala, spaccando pietre e vendendo collane, hanno raccolto i soldi da mandare per la distruzione dell’Uragano Katrina e per la distruzione del terremoto a L’Aquila. Quando me lo avevano raccontato, avevo sentito questa storia, non potevo spiegarmi come fosse possibile che da Kampala delle donne che spaccano pietre potessero anche solo considerare una tragedia lontana, nella loro tragedia quotidiana.



Penso all’ultima grande tragedia del mare, 700 morti, e a tutte le altre che accadono nel mare quasi ogni giorno. Penso al numero, tanti, tantissimi. Su internet, ovunque, leggo titoli, appelli, commenti e scorro avanti velocemente. Non riesco a leggere, perché – credo – mi pare di vedere ogni volta l’accanimento allo scandalo per qualcosa che non ci riguarda. Provo a capire meglio, vorrei capire meglio. Mi pare un accanimento sempre per qualcos’altro. Lo scandalo per un mondo disastroso. C’è tempo e spazio nella testa per occuparsene, scriverne: meglio l’azione silenziosa, ecco. Questo è il punto, meglio l’azione silenziosa.



700 è fatto da settecento unità: se ne conoscevi una, allora piangi. E allora le donne della Rose spaccano pietre, e quei soldi vanno negli Stati Uniti, in Italia. Non si conoscono tra loro, i morti e i vivi, in quel caso. Un’azione silenziosa e basta. Non so bene dove stia il mare e dove il Sud Sudan, quali le coordinate, latitudine, longitudine, ma non stanno negli articoli, stanno sulla terra e nel mare. Possiamo stare attaccati a noi, quel mare non c’entra. Basta con quello scuotere la testa, piuttosto il silenzio. E poi, agire.

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