“Il vero pericolo è che l’Isis utilizzi i barconi degli immigrati per farvi salire un kamikaze e fare esplodere le navi della missione Triton e della Guardia costiera italiana impegnate nelle operazioni di salvataggio al largo della Libia”. Lo afferma Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, commentando la notizia della Bbc secondo cui i miliziani dell’Isis arrivano in Europa a bordo dei gommoni carichi di immigrati che attraversano il Mediterraneo. La tv britannica ha diffuso la notizia citando come fonte Abdul Basit Haroun, consigliere del governo libico di Tobruk.



Ritiene che ci sia effettivamente il rischio che i miliziani dell’Isis si imbarchino sui gommoni dei migranti?

E’ l’ennesima volta che i rappresentanti del governo di Tobruk ci dicono che sui barconi potrebbero esserci dei terroristi. Potrebbe essere o meno vero, finora non ne è stato trovato nessuno. Il dato certo è che l’Isis in Libia è sulle rotte della migrazione. Non a caso i cristiani etiopi decapitati dall’Isis lo scorso aprile erano dei migranti giunti in Libia dal Sudan. Ho però qualche perplessità sul fatto che l’Isis utilizzi i barconi come mezzo di trasporto.



Quali sono dunque i rischi legati alla presenza dell’Isis sulle rotte dei migranti?

Il rischio maggiore è piuttosto il fatto che i barconi diventino un’arma nelle mani dell’Isis. L’obiettivo potrebbe diventare quello di colpire le navi della missione Triton o della Guardia costiera italiana, impegnate nel soccorso dei profughi. Basterebbero un attentatore con la cintura suicida e una carica messa a bordo del barcone per farle esplodere.

Nell’intervista a Khalifa Haftar che lei ha fatto per Il Giornale, il generale libico ha affermato che “molti terroristi si stanno muovendosi sulla scia dei migranti che attraversano il Mediterraneo”. Era un’anticipazione della notizia della Bbc?



Il generale Haftar è il capo di stato maggiore del governo di Tobruk e fa parte quindi della stessa corrente del consigliere del governo libico citato dalla Bbc. In queste dichiarazioni gioca molto la propaganda e la capacità di attirarsi le simpatie dell’Occidente. Teniamo conto che la Libia oggi è un Paese diviso, da un lato c’è il governo riconosciuto di Tobruk e dall’altra la coalizione islamista che governa su Tripoli.

Quanto è forte il rischio che i migranti subiscano il fascino della propaganda dell’Isis?

Questo è un altro discorso. Ci sono effettivamente dei migranti che sono arrivati in Europa con i barconi e che strada facendo sono diventati simpatizzanti dell’Isis. In questo grande gioco dell’Isis vale anche la sua capacità di influenzare con la propaganda i cosiddetti “lupi solitari”. Questi ultimi non sono eterodiretti dalle cellule dello stato islamico a Sirte, Raqqa o Musul, ma si attivano autonomamente finendo per agire in nome e per conto dello stato islamico o di qualche altra organizzazione. Non c’è una regia che guida gli attentati in Europa da parte dello stato islamico, e questa è una differenza fondamentale.

Qual è la presa che esercita l’Isis sugli arabi di seconda generazione che vivono in Italia?

La presa è particolarmente forte nei confronti di quanti sono più disposti ad accettare un discorso violento e le tesi jihadiste. Il fascino dell’Isis è quello che emana dalla forza e dalla spietatezza. Chi è attratto dalle idee degli jihadisti pensa di essere in guerra con l’Occidente e quindi guarda a chi questa guerra la conduce con determinazione e crudeltà, perché questo dà l’illusione di poter raggiungere la vittoria.

 

A differenza di altri Paesi europei, finora in Italia non si sono verificati attentati. Siamo stati più fortunati?

L’Italia è utilizzata molto dai gruppi terroristici soprattutto come base logistica per ottenere documenti e per spostarsi nel resto d’Europa. D’altra parte c’è anche una capacità superiore delle nostre forze di polizia e dei nostri servizi segreti che monitorano gli ambienti jihadisti.

 

Da che cosa dipende questa capacità superiore?

Dipende da una lunga esperienza delle forze di sicurezza italiane nella lotta al terrorismo, che risale ancora agli anni delle Brigate Rosse. Oggi siamo la seconda generazione, ma le componenti più anziane di polizia e carabinieri sono entrate in servizio negli anni della guerra al terrorismo rosso. Questi metodi si sono quindi tramandati, e a ciò si aggiunge un controllo capillare del territorio determinato anche dalla necessità di contrastare le organizzazioni criminali della malavita organizzata.

 

Come valuta il piano delle incursioni mirate in Libia presentato dal ministro Gentiloni?

Gentiloni ha di molto ridimensionato la vera entità dell’operazione che dovremo condurre sulle coste libiche. Per fare quello che ci ha raccontato il ministro non occorrerebbe una risoluzione Onu. Nella realtà l’ipotesi è che queste operazioni contro i trafficanti di uomini degenerino in uno scontro molto più ampio e più complesso.

 

(Pietro Vernizzi)