“L’unica soluzione è chiudere le nostre frontiere. Bisogna ristabilirla con la fine immediata di Schengen. È nell’interesse anche dell’Italia. Si può creare una forza marittima bilaterale, tra Francia e Italia, ma solo per ricondurre i barconi verso i porti di partenza”. E’ quanto dichiarato da Marine Le Pen in un’intervista a Repubblica, dopo che lo stesso governo socialista di Parigi, insieme a quelli di Spagna e Regno Unito, si è detto contrario al sistema delle quote. Il fronte del no al piano europeo sull’immigrazione insomma si allarga sempre di più. Ne abbiamo parlato con don Mussie Zerai, fondatore e presidente dell’agenzia Habeshia. Il sacerdote, nato in Eritrea e attivo tra Italia e Regno Unito, è impegnato in prima linea per la difesa dei diritti di immigrati e rifugiati politici. Grazie al suo impegno, l’Istituto di ricerca internazionale di pace di Oslo lo ha candidato al Premio Nobel per la Pace.



Che cosa ne pensa del piano europeo di contrasto all’immigrazione?

Se si volesse veramente contrastare l’immigrazione illegale basterebbe aprire i canali legali per permettere a queste persone di arrivare in sicurezza ed essere accolte. Si parla tanto di distruggere i barconi e di arrestare i trafficanti, operazioni che nella realtà sono molto più costose. Ci si chiede inoltre come distinguere i barconi dei pescatori da quelli dei trafficanti. Altro punto da chiarire, occorre vedere se le autorità locali autorizzano e collaborano con queste operazioni, oppure se queste ultime rappresentano un’operazione di guerra. Distruggere qualche barcone del resto non risolve il problema ma si limita a rimandarlo. I rifugiati continueranno a esistere, ma si troveranno altri canali.



Francia, Spagna e Regno Unito hanno detto di essere contrari alla ripartizione delle quote. E’ giusto che l’Italia debba farsi carico da sola del problema?

Se non riceve la solidarietà di tutti i Paesi Ue, l’Italia dovrebbe chiamarsi fuori dall’accordo di Dublino e rifiutarsi di schedare tutte le persone che passano dal suo territorio. A quel punto il numero di immigrati che passando dall’Italia raggiungeranno gli altri Paesi Ue saranno molto più numerosi di quelli che arriverebbero con le quote. Il 90 per cento degli immigrati che passano dall’Italia hanno come obiettivo quello di raggiungere il Nord Europa.



Bruxelles ha già detto che manderà ispettori stranieri in Italia per controllare che gli immigrati siano schedati…

L’Italia non può subire passivamente la presenza degli ispettori. Deve ottenere un contraccambio, per cui si accettano gli ispettori ma si fa sì che il peso non gravi su un unico Paese.

Che cosa ne pensa dell’atteggiamento dell’Europa nei confronti degli immigrati?

E’ un atteggiamento difensivo. L’Europa sta facendo di tutto per difendersi dall’arrivo dei migranti che vengono qui per cercare asilo politico o una vita migliore. Il rafforzamento di Frontex o l’invio di navi nelle acque territoriali libiche per distruggere i barconi sono solo un tentativo di difendersi. Ma difendersi da chi? Stiamo parlando di disperati.

 

Da dove nasce questa posizione?

E’ una forma di egoismo che mira a difendere il proprio status quo dal punto di vista del benessere e si rifiuta di condividerlo con chi in questo momento è maggiormente nel bisogno. Se non si vuole che queste persone vengano qui, almeno si abbia il coraggio di andare nel loro Paese d’origine ad aiutarle.

 

In che modo è possibile creare dei canali legali per la selezione degli immigrati?

L’Unhcr accoglie migliaia di migranti nei suoi centri e opera una distinzione tra quanti sono realmente bisognosi della protezione internazionale e quanti non lo sono, concedendo ai primi la tessera dello status di rifugiato. Ogni anno l’Unhcr chiede agli Stati sviluppati di ospitare i rifugiati con un programma di reinsediamento.

 

Quali altre soluzioni sono possibili?

Vanno aperte le ambasciate nei principali Paesi di transito dei migranti, per analizzare le richieste di asilo e rilasciare i visti a chi ne ha il diritto. Infine si può usare lo strumento della sponsorship, già utilizzata in Canada, in base a cui parenti di un migrante che vivono all’estero garantiscono per lui e gli pagano il viaggio.

 

L’Italia sta aspettando la risoluzione Onu sulle misure di intervento in Libia. Secondo lei che cosa andrebbe fatto?

L’intervento militare non può risolvere il problema, al massimo può rimandarlo. L’Europa ha perso quattro anni di tempo per pacificare la Libia, mentre poteva investire tutte le risorse fin da subito. Bisognava mettere tutte le fazioni libiche intorno a un tavolo per farle dialogare. Invece, la Libia è stata abbandonata a se stessa con una grande quantità di armi che circolava nel Paese.

 

E adesso?

Ora diventa difficile ricomporre tutto, e neanche lo stesso intervento militare può essere risolutivo. Bisogna tornare a dialogare per pacificare la Libia, formando un governo stabile. Nello stesso tempo bisogna trovare il modo di proteggere i profughi, che sono già arrivati sul territorio libico, e lavorare nella stessa Africa subsahariana per prevenire l’arrivo in Libia di altri profughi in fuga da Eritrea, Somalia e Sudan.

 

(Pietro Vernizzi)