La città di Palmira è da ieri sotto il pieno controllo dell’Isis dopo che le forze del governo siriano sono state costrette a battere in ritirata. Una conquista dal forte valore simbolico per i reperti archeologici che si trovano nell’area. Il timore è che l’Isis intenda distruggere le rovine di origini romane, proprio come è avvenuto alle statue nella città assira di Nimrud e nel museo di Mosul. Quello che è certo è che almeno cento soldati fedeli al governo siriano sono stati uccisi nei combattimenti o decapitati dopo la cattura. Per Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (Ce.Si), “l’Isis è pericoloso perché rappresenta uno Stato e un attore regionale con una capacità di espansione e di propaganda non indifferenti. O si darà una risposta che non può essere soltanto bellica, o vedremo un rafforzamento delle sue capacità via via sempre maggiore”.



Come sta cambiando lo scenario in Siria e Iraq dal punto di vista strategico?

Non sta cambiando particolarmente, perché in questo caso come in altri per vincere una guerra bisogna dare una risposta politica. Immaginare di risolvere il problema dell’Isis esclusivamente con i bombardamenti è non solo semplicistico ma anche criminale. Finché non vi sarà un accordo politico tra le tribù dell’Anbar e il governo centrale di Baghdad, gli uomini dell’Isis sono destinati ad avanzare per la semplice ragione che loro sanno per quale ragione combattono.



In che senso l’Isis sa per quale ragione combatte e gli altri no?

L’Esercito iracheno non si sente iracheno. Finché quindi non ci sarà un sentimento nazionale, quanti hanno una ragione per sacrificarsi come i jihadisti avranno sempre un vantaggio. Immaginare di poter vincere la guerra perché si dispone di una tecnologia più avanzata è una visione esclusivamente occidentale. Le guerre si vincono soprattutto quando si ha una motivazione più forte per farlo.

Gli Usa hanno annunciato che distribuiranno armi pesanti all’esercito iracheno. Questo può cambiare le sorti della guerra?

Direi di no. L’Esercito iracheno, già equipaggiato con carri da battaglia M1A1 Abrams americani di ultima generazione, è stato sconfitto dai guerriglieri dell’Isis che andavano all’assalto con i mitra sopra le jeep. Anche le armi più tecnologiche, se alle spalle non hanno un addestramento e una motivazione, non servono assolutamente a nulla. Il punto non è avere armi sofisticate, ma strategie politiche intelligenti.



Qual è il punto di forza del califfato?

Gli uomini dell’Isis all’interno dei loro territori praticano l’arte dello Stato sociale e si occupano dei propri cittadini. Nei territori del califfato ci sono certamente migliaia di persone che vivono in uno stato di costrizione, ma ve ne sono milioni che hanno una qualità di vita superiore a quella che avevano sotto la gestione del governo di Baghdad. O si riesce a stringere un accordo tale per cui le tribù dell’Anbar sentono di avere un ruolo di primo piano quanto quelle sciite o curde, o in quella zona continueremo ad avere la guerriglia.

Con quali risorse l’Isis pratica lo Stato sociale?

Principalmente attraverso la vendita illegale di petrolio. Gli stessi Stati che combattono il califfato acquistano da quest’ultimo greggio a prezzi di favore nel mercato nero, per poi rimetterlo in commercio a prezzi di cartello e guadagnandoci quindi il plusvalore. Questo dimostra l’ipocrisia del modo in cui stiamo facendo la guerra all’Isis.

 

Perché Assad si è ritirato da Palmira?

Assad non si è ritirato da Palmira, ma cerca di tenere il fronte che le sue truppe sono in grado di difendere. Però mi perdoni, noi facciamo un gran parlare dei luoghi, come Ninive e Palmira, ma ricordiamoci che il punto fondamentale è che ci sono degli esseri umani che vivono in questi luoghi. Non vorrei che per l’Occidente il fatto che ci siano migliaia di persone che stanno morendo passasse in secondo piano.

 

Ma noi sappiamo realmente che cosa sta avvenendo nei territori controllati dall’Isis?

Tanto in Siria quanto in Iraq, l’Isis sta attuando in modo molto determinato un’operazione di pulizia etnica nei confronti di quanti dal suo punto di vista rappresentano un problema. I miliziani eliminano tutti coloro che sono contrari all’Isis stesso, e quindi non soltanto cristiani, yazidi e sciiti, ma anche i musulmani sunniti che la pensano in modo diverso da loro.

 

Di fronte alla divisione delle società di Siria e Iraq, che cosa può fare l’Occidente?

Fino a che non ci sarà un dialogo molto netto e senza pregiudiziali tra Iran da un lato, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar dall’altra, è difficile che i Paesi occidentali possano giocare un ruolo determinante in Iraq e in Siria.

 

Come valuta la posizione di Israele nei confronti dell’Isis?

Non vedo un Israele particolarmente preoccupato per la vicenda dell’Isis. Israele è una potenza regionale e il califfato non è in alcun modo capace di ledere le sue capacità strategiche. Israele è invece molto preoccupato per lo sviluppo di Hezbollah e per le politiche dell’Iran.

 

(Pietro Vernizzi)