Con oltre 172 milioni di persone (il 2,4% della popolazione mondiale) e una superficie che supera i 20 milioni di Km², l’Unione Economica Euroasiatica (UEE) – che comprende Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kyrgyzstan – contribuisce per quasi il 4% del Pil Mondiale: un mercato strategico che l’Italia non può assolutamente perdere a causa delle pur rilevanti tensioni internazionali con la Russia. È questo il senso e il cuore del III Seminario Euroasiatico, organizzato nella sede di Roma della “Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners” dall’Associazione Conoscere Eurasia e dal Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo. Alla presenza, tra gli altri esponenti del mondo che dialoga sull’asse Italia-UEE, del Presidente della Commissione Bilancio e Tesoro della Camera dei Deputati Francesco Boccia, le discussioni si sono concentrate proprio sulla centralità e l’urgenza di un nuovo dialogo economico e strategico con il mondo russofilo presente in Asia. Proprio Boccia ha aperto in maniera netta il seminario, affermando «fin dall’inizio son stato fortemente contrario alle sanzioni, ritengo che la Russia e l’Eurasia sia un naturale approdo per gli interessi dell’UE». Concetto ribadito anche dall’ambasciatore russo in Italia intervenuto, Sergey Razov: «la Russia non chiude a nessuno e in questo regime di sanzioni possiamo essere una barriera o un ponte verso Est, nonostante a causa delle tensioni a fine anno saranno molti i miliardi di euro che andranno perduti nell’interscambio tra Italia e Russia». In questa direzione, è stato l’intervento di Antonio Fallico (Presidente Banca Intesa Russia e Presidente dell’Associazione Conoscere Eurasia) a segnare il fulcro delle discussioni. Da grande conoscitore del mondo euroasiatico, ha voluto sottolineare con forza la tensione provocata nell’ultimo biennio dalle sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia, in merito alla delicata situazione ucraina. «Le tensioni stanno provocando danni ingenti alle imprese europee ed italiane, queste ultime nel solo 2014 hanno perso 1,25 miliardi di euro del loro export, e purtroppo anche questi primi mesi del 2015 non vanno meglio, con le nostre esportazioni che hanno raggiunto il meno 29,3% nel solo primo trimestre». Fallico si mostra positivo sulle recenti parole di apertura di Kerry e Mogherini rispetto ad un ritorno al dialogo con la Russia, ma avverte che questo non basta: il presidente di Banca Intesa Russia illustra infatti come proprio negli ultimi anni, stante la distanza creatasi con il mondo filorusso, la comunità europea – compresa l’Italia quindi – ha perso la centralità nei rapporti di scambi economici con l’UEE, a vantaggio del mondo più a Est, dalla Cina all’India, dal Vietnam ai paesi del Medioriente. Confrontando le lavorazioni della Direzione studi e ricerche di Intesa San Paolo, che ha elaborato i dati Istat e li ha presentati al Seminario, si possono osservare due elementi interessanti: se da un lato l’Unione Europea rimane anche nel 2014 il principale mercato di sbocco dell’UEE con una quota del 46% dell’interscambio complessivo, dall’altro tale fonte di sbocco è calata in un solo anno del 13% netto. Come ricorda ancora Fallico, in questo tempo l’UEE non è stata a guardare e sta provando a sbloccare la situazione, basti pensare al caso del Kazakistan: «l’appena rieletto neopresidente di Astana, Nazarbajev, ha proposto pochi giorni fa di costituire lo Spazio economico euroasiatico unificato con pari diritti per i paesi partecipanti e, al tempo stesso, di fondare un nuovo percorso di trasporto mutimodale ad alta velocità – il corridoio euroasiatico transcontinentale – invitando a parteciparvi l’Unione Europea, nella convinzione che tale infrastruttura potrà essere il driver di una grande crescita dell’economia mondiale».



Nella sua conclusione il presidente Fallico ha toccato il vero nodo della questione: «ci sono ben 700 imprese italiane che operano direttamente nell’area euroasiatica che seguono con interesse l’evolversi di grandi progetti – come l’accordo siglato con la Cina sulla cosiddetta “Via della seta”. C’è un grande fermento espresso da questa nuova Unione che oggi l’Italia fatica ad intercettare, e la causa è tutta da imputare alle attuali tensioni geopolitiche che fanno pensare ad un nuova Guerra Fredda che danneggia sicuramente più noi che loro». Una posizione questa a più volte ripresa nel corso del Seminario nei suoi vari interventi, inclusi quelli importanti dei vari ambasciatori dell’area filorussa presenti in Italia. «Non si può più attendere tranquillamente una soluzione politica, è troppo urgente che il regime sanzionatorio nei confronti della Russia venga ripensato», afferma Francesco Gianni (Senior partner dello Studio legale Gianni Origoni Grippo Cappelli e Partners). L’Italia ancora ad oggi, nello specifico, è il secondo fornitore europeo dopo la Germania, grazie alle esportazioni di macchinari e apparecchi elettrici ed elettronici (40%), prodotti dell’abbigliamento (20%), prodotti agricoli-alimentari (6,2%), sempre secondo i dati Istat. Tra le aziende più note presenti e operanti nell’area dell’UEE (che nel 2013 arrivavano a sommare circa 7,3 mld di euro di fatturato) i nomi sono altisonanti: dall’Eni a Pirelli, da Ansaldo Energia a Italcementi, dalla Parmalat a De Cecco, e poi Calzedonia, Fendi, Ferragamo, Prada, Valentino e Benetton. Sono investimenti ingenti ed importanti di aziende, per non citare le piccole e medie imprese operanti anch’esse in quell’area, che non possono stare a guardare ancora per molto: la soluzione politica urge e la domanda vera è se l’Unione Europea e l’Italia saranno in grado di partecipare ad un mercato che si sposta progressivamente verso altre regioni del Mondo. In questo senso va recuperato e non perduto tutto quanto l’asse Roma-Mosca ha costruito nell’ultimo decennio, come ha ben ricordato Pierluigi Monceri (Direttore Regionale Toscana, Umbria, Lazio e Sardegna di Intesa San Paolo) nel suo intervento. «Il 6,3% della crescita delle esportazioni italiane nel periodo 2000-2013 è legato al flusso verso la Russia; crescita che si è poi rafforzata grazie agli investimenti diretti bidirezionali tra imprese russe e italiane». Il problema evidenziato da molti relatori è che in concomitanza con le tensioni ucraine si è svalutata la moneta, è crollato il prezzo del petrolio e l’interscambio Italia-Russia ne ha risentito. Una speranza concreta viene però presentata da Monceri nelle sue conclusioni, «con la ripresa della domanda russa nel medio termine, dovrebbe favorire nuovi investimenti soprattutto dei produttori italiani di beni di consumo (casa, moda), già ora molto presente nel paese; inoltre, vi sono buone prospettive anche per i produttori di beni di investimento, in particolare se la crisi attuale stimolerà, come auspicato dalle autorità russe, una diversificazione dell’economia». 



Preoccupazione dunque, ma anche elementi da cui ripartire sono il frutto di questo seminario romano che si auspica di non rimanere una voce solitaria ma di mettere a frutto le proposte fatte. Come sostiene da tempo Fallico, l’Unione Euroasiatica per Italia e UE non deve essere solo un mercato di scambio, ma un partner strategico per la stabilità politica ed economica internazionale. E di questo, vi è un’urgenza capitale.

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