In occasione del G7, Barack Obama ha espresso critiche ancor più pesanti alla Russia e ha detto che Putin deve riconoscere “che la grandezza della Russia non dipende dalla violazione dell’integrità territoriale e della sovranità di altri Stati”. E’ una frase piuttosto interessante sulla bocca del presidente di uno Stato da decenni accusato di ritenersi il gendarme del mondo e autorizzato ad esportare la “sua” democrazia ovunque, con le buone o le cattive.



Uno dei motivi della sua vittoria nel 2008 contro il repubblicano John McCain fu proprio la sua opposizione a questo interventismo, con la promessa di ritiro dall’Afghanistan e la critica alla guerra di Bush in Iraq, argomento usato anche contro Hillary Clinton alle primarie democratiche, insieme alla promessa di chiudere il carcere di Guantanamo, ritenuto contrario ai principi democratici degli Stati Uniti. Una delle prime forti prese di posizione di Obama fu il discorso del giugno 2009 all’Università del Cairo, con inconsuete e ampie aperture verso l’islam e, in particolare, della Fratellanza musulmana. Qualche mese dopo fu insignito del Nobel per la Pace.



A distanza di sette anni, ben poco rimane di queste promesse: Guantanamo, pur ridimensionato, è ancora aperto, la situazione in Afghanistan è ancora ad alto rischio, i soldati americani stanno tornando in Iraq, precipitato in un caos ancor peggiore dell’epoca di Bush, in Egitto i generali stanno reprimendo i Fratelli musulmani. Non precisamente un successo, anche se non tutto è colpa di Obama, ma fa un po’ specie la frase citata dopo i suoi interventi in Siria e Libia.

Quasi esclusivamente attribuibile a Obama è la decisione di andare allo scontro con la Russia di Putin, e la conseguente tragedia ucraina. Come scritto in un precedente articolo, Putin ha responsabilità pesanti nella gestione di questa crisi, ma Obama ha impostato la vicenda su una sola ipotesi: la vittoria degli Usa e la sconfitta della Russia. Non a caso la sua politica è ben condivisa dai Repubblicani, il vecchio McCain in testa.



Anche al recente G7 il filo conduttore è stato che la Russia, e solo la Russia, non sta rispettando gli accordi di Minsk, anche se molti osservatori, inclusi quelli dello Ocse, non esentano da responsabilità il governo ucraino, così come per le rotture della tregua.

Di fronte a questo muro contro muro non sorprende che, dietro le dichiarazioni di facciata, i partner europei dimostrino qualche perplessità, in particolare quelli più colpiti dalle sanzioni, come l’Italia. Anche la Germania, apparentemente così decisa, si è guardata bene dal mettere in discussione i contratti con la Gazprom (in cui ha un ruolo dirigente l’ex cancelliere socialdemocratico Schroeder) per le forniture di gas russo attraverso il Nord Stream, lasciando Ucraina ed Europa del Sud a vedersela con il problema dei rifornimenti energetici.

Molte mosse di Obama non sono immediatamente chiare e la domanda principale è quale strategia stia realmente perseguendo, esclusa l’esecranda ipotesi che sia solo un partita di poker con Putin. La storia ha dimostrato la scarsa efficacia reale delle sanzioni, a partire dai tempi di Napoleone e, se l’embargo contro l’Iran avesse funzionato, forse ora Obama non avrebbe avviato con Teheran trattative così malviste da molti, sia negli Usa che altrove. Obama accusa Putin di voler ricostituire l’impero sovietico, ma dovrebbe sapere che un forte nazionalismo come quello russo si sente direttamente colpito dalle sanzioni, finendo così per rafforzare il consenso a Putin.

Inoltre, le stesse trattative con l’Iran, o la soluzione del conflitto in Siria e, più in generale, la situazione nel Medio Oriente possono andare difficilmente in porto con l’ostilità di Mosca. Né è chiaro l’interesse di portare la Russia a una stretta, e non ricercata, alleanza con la Cina, sempre più aggressiva verso gli Usa.

Considerando i due fattori da sempre presenti nella politica degli Stati Uniti, il già citato “gendarme del mondo” e quello contrapposto dell’isolazionismo, la strategia di Obama sembrerebbe diretta a unire questi due elementi, finito il mito del dominio unipolare statunitense dopo la dissoluzione dell’Urss. Una strategia che porta alla divisione del mondo in due aree di influenza, americana e cinese, una sorta di nuova Yalta. I due accordi commerciali propugnati da Obama, con forti resistenze anche negli Usa, riguardanti Europa e Pacifico, sembrerebbero disegnare i confini di queste aree, per cui la Russia dovrebbe ritirarsi dall’Europa e vedersela in Asia con Pechino.

Yalta fu però una soluzione di compromesso per evitare che continuasse, ancor più disastrosa, la guerra che stava per finire. La situazione attuale è diversa ed è il sostanziale rifiuto di un mondo multipolare che porta a parlare di un elemento isolazionista, applicato non più ai soli Stati Uniti, ma a una loro zona di influenza, con conseguente disinteresse per il resto del mondo. Non sarebbero spiegabili altrimenti molte delle decisioni sul Medio Oriente, dove sono praticamente crollate tutte le vecchie alleanze statunitensi, o il completo disinteresse nei confronti dell’Africa, abbandonata alla colonizzazione cinese.

Risulta tuttavia inutilmente costoso un livello così elevato di ostilità verso la Russia, a meno che serva a porre l’Europa di fronte a una secca alternativa: o con Washington o con Mosca, in pieno stile Guerra Fredda. Forse con la convinzione che gli interessi tra Russia e Cina non siano alla fine così coincidenti e possano portare a forti dissidi, come avvenne già ai tempi dell’Unione Sovietica.

Obama ha ancora poco più di un anno come presidente e ciò giustifica la sua fretta di varare i trattati commerciali e di isolare la Russia. La Cina ha già reagito con grande rapidità con la sua banca internazionale di sviluppo, cui hanno aderito molti Stati europei, in contrasto con Obama, a dimostrazione di come la partita sia ancora del tutto aperta.

In questo scenario, una grande importanza ha l’incontro odierno di Putin con Papa Francesco, non solo per il ricordo della lettera del Papa a Putin per scongiurare l’intervento americano in Siria, ma perché Putin si è presentato in patria come campione dei valori cristiani, accusando l’Occidente di averli negati, ed è sostenuto da gran parte della Chiesa ortodossa. E’ probabile che cercherà di sfruttare a suo vantaggio questo elemento, ma la cosa veramente importante sarà vedere come il Papa saprà trasformare questa visita in un’iniziativa concreta di pacificazione dell’Ucraina e del Medio Oriente, superando tutte le possibili strumentalizzazioni da Est e da Ovest.