Il cattolico pakistano Aftab Bahadur Masih è stato impiccato nel carcere Kot Lakhpat di Lahore dopo un’odissea giudiziaria durata 23 anni. Quando aveva 15 anni Aftab fu condannato a morte per l’omicidio di una donna e due bambini, che in realtà il cristiano non ha mai commesso. All’epoca, siamo nel 1992, Ghulam Mustafa, idraulico musulmano con cui Aftab lavorava come apprendista, fu arrestato per complicità e torturato dalla polizia fino a quando accusò il cristiano del delitto. In seguito Ghulam ha rilasciato una dichiarazione ufficiale davanti a un leader religioso, affermando di avere mentito in quanto Aftab era stato solo testimone oculare del delitto. Abbiamo chiesto un commento a Paul Jacob Bhatti, presidente della Shahbaz Memorial Trust, una fondazione in onore del fratello ucciso in Pakistan dai fondamentalisti islamici il 2 marzo 2011.



Come stanno veramente le cose nel caso del cristiano impiccato?

Si tratta di due ragazzi, uno musulmano e uno cristiano, accusati per un omicidio avvenuto 20 anni fa. Aftab Bahadur Masih, il ragazzo cristiano, apparteneva a una famiglia molto povera. Sembra che il killer fosse il musulmano, ma la polizia lo ha torturato per fare in modo che la colpa ricadesse sul cristiano. Aftab ha anche raccontato che al momento dell’arresto la polizia gli aveva chiesto l’equivalente di 50mila rupie (5mila dollari) per la sua liberazione, ma poiché era molto povero non era stato in grado di pagare.



Che cosa ha deciso quindi il tribunale?

Alla fine a sorpresa è arrivata una sentenza di morte per impiccagione per entrambi gli imputati, sia Aftab sia Ghulam. Alle 23 della sera precedente l’esecuzione, l’uomo la cui moglie e i cui bambini erano stati uccisi è andato dall’imputato musulmano, comunicandogli che aveva deciso di perdonarlo in quanto della stessa religione. Ha chiesto e ottenuto quindi che fosse giustiziato soltanto Aftab, in quanto cristiano cioè infedele. Una persona cristiana accusata ingiustamente è stata dunque impiccata.

E’ un caso che documenta come i cristiani pakistani siano ancora discriminati?



E’ evidente. Nel momento in cui un imputato è graziato in quanto musulmano e l’altro è impiccato in quanto cristiano, la discriminazione è palese e lampante.

Prima di essere impiccato Aftab ha scritto un’ultima lettera. Qual è il suo messaggio?

Il messaggio è che la comunità cristiana e le altre minoranze religiose in Pakistan non sono unite al loro interno. Se unissero le forze e affrontassero chi li minaccia e li discrimina, la situazione migliorerebbe. Serve maggiore coesione sia all’interno della comunità cristiana locale pakistana sia in quella internazionale.

Com’è la situazione in Pakistan sia per i cristiani sia a livello sociale?

I soliti problemi del Pakistan sono ancora tutti lì. Pochi giorni fa si è scoperto che otto dei dieci attentatori che nel 2012 avevano sparato a Malala Yousafzai, l’attivista pakistana vincitrice del premio Nobel, sono stati segretamente rilasciati dalla polizia. Mentre l’anno scorso due cristiani erano stati bruciati vivi e due chiese a Lahore erano state distrutte.

 

Il governo di Nawaz Sharif sta facendo il possibile per affrontare questi problemi?

Il governo pakistano è già in gravi difficoltà nel garantire la sua stessa sopravvivenza, figuriamoci per quanto riguarda gli altri problemi. Di recente ha proposto di introdurre la pena di morte per tutti i terroristi, ma nonostante tutti i suoi sforzi per combattere l’estremismo e le discriminazioni si tratta ancora di un obiettivo molto lontano.

 

C’è almeno qualche passo avanti?

Difficile dirlo. Con il governo di Yousaf Raza Gillani (2008-2012), del quale ho fatto parte come ministro, avevamo cercato di affrontare la questione delle minoranze religiose. Attraverso la formazione del ministero per l’Armonia nazionale, da me ricoperto, volevamo ricreare un ambiente favorevole alla pace e al dialogo interreligioso. Il ministero era affiancato a quello per gli Affari religiosi, retto da un musulmano.

 

Che cosa vi aspettate dai Paesi occidentali?

La comunità internazionale deve fare sentire la sua voce, perché non si tratta soltanto di una questione puramente confessionale, ma dei diritti fondamentali dell’uomo che sono violati. Tutti i Paesi e tutte le organizzazioni che sostengono la democrazia devono prendere posizione e fare la loro parte.

 

(Pietro Vernizzi)