I migranti restano bloccati alla frontiera tra Italia e Francia, mentre lunedì riapriranno i confini con la Germania. Fonti della Commissione Ue hanno fatto sapere che il periodo notificato da Berlino al G7 andava dal 27 maggio al 15 giugno. La situazione del valico tra Ventimiglia e Mentone rimane invece difficile, con gli extracomunitari fermi sugli scogli che ieri hanno manifestato scandendo gli slogan “via la polizia” e “non torniamo indietro”. Angelino Alfano, ministro dell’Interno, ha sottolineato: “Le scene di Ventimiglia sono l’antipasto di quanto succederebbe se si chiudesse Schengen”. Ne abbiamo parlato con Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia nell’Università di Milano-Bicocca.
Che cosa ne pensa di quanto sta avvenendo?
L’attuale emergenza migranti era prevedibile. Adesso ci meravigliamo tanto, ma sapevamo che sarebbe finita così. Tutto fa pensare che siamo di fronte a qualcosa che sta crescendo e che continuerà a crescere in futuro. O si trova un sistema per cercare di governare l’emergenza, o dovremo continuare a mettere una pezza qua e là.
Come valuta il modo in cui il governo Renzi ha gestito la situazione?
Il governo ha cercato di fare quello che poteva. Non è facile contrastare dei movimenti come questi in un Paese come l’Italia. Ci sono Stati europei che in alcune circostanze si sono messi anche a sparare, o comunque hanno fatto la voce grossa. Da noi una cosa di questo genere non è pensabile, e quindi il governo si muove tra mille difficoltà.
Perché le difficoltà sembrano aumentare ogni giorno che passa?
Se gli altri Stati europei non ci mettono i bastoni fra le ruote, in qualche modo è possibile gestire la situazione. Nel momento in cui gli altri Paesi Ue cambiano invece idea strada facendo, quello che sembra già di per sé un piano arduo da realizzare improvvisamente va in crisi.
Nel 1990 su 23mila immigrati albanesi ne furono rispediti in patria 20mila. Perché oggi non si può fare altrettanto?
Era una situazione molto diversa da oggi. Un conto è trattare con il governo albanese, un altro avere a che fare con una popolazione africana che non si sa da dove provenga e che non si può rispedire indietro. A ciò si aggiunge una normativa europea che ci crea diversi problemi, perché impone che i migranti restino nel Paese del primo approdo. L’Italia però è semplicemente il “molo” su cui attraccano i barconi, ma la reale destinazione dei migranti sono Francia, Germania e Paesi del nord. Gli altri Paesi Ue continuano a darci ragione e a dirci che bisogna cambiare regole, ma poi sul lato pratico non si cambia nulla.
Lei come valuta l’atteggiamento di Paesi quali Francia, Austria e Regno Unito?
Questi Paesi hanno piena consapevolezza della gravità della situazione. Hanno cioè capito che dietro ai migranti arrivati in queste settimane ce ne sono degli altri milioni. Il fenomeno dell’emigrazione economica fa sì che arrivino numeri ingestibili da una realtà povera come l’Africa. Gli altri Paesi Ue hanno il vantaggio di non essere in prima linea. A ciò si aggiunge il fatto che le normative comunitarie non erano state pensate per situazioni come questa, e quindi questi Paesi se ne approfittano.
Renzi ieri ha detto al Corriere: “Se il Consiglio europeo sceglierà la solidarietà, bene. Se non lo farà, abbiamo pronto il piano B. Ma sarebbe una ferita innanzitutto per l’Europa”. Lei che cosa ne pensa?
Renzi ha detto più volte che occorre aiutare gli africani nei loro Paesi d’origine in modo che siano incentivati a rimanervi. Qualcuno vicino al premier ha anche proposto di usare il pugno duro, con operazioni di contrasto in mare. Resta il fatto che cercare di risolvere il problema degli sbarchi con le sole forze dell’Italia è un atteggiamento velleitario. Se non riusciamo a farcela con un minimo appoggio da parte di Bruxelles, figuriamoci se riusciremo a farcela da soli.
Quindi l’Italia è in un vicolo cieco?
La situazione è indubbiamente difficile, e in questo momento non riesco a immaginare vie d’uscita. Con la bella stagione gli sbarchi continueranno in modo consistente.
Sarebbe possibile un accordo per i rimpatri con i governi libici di Tobruk e Tripoli?
Occorrerebbe in primo luogo un carisma e una capacità diplomatica non indifferenti. Non mi sembra che in questo momento il nostro governo abbia queste due doti. In secondo luogo ci vorrebbe una controparte credibile che una volta presi degli accordi li rispetti. Il fatto che in Libia ci siano due governi in lotta tra loro rende le cose ancora più complicate. Andare a trattare con entrambi e poi fare in modo che mantengano gli impegni assunti non è un’operazione affatto semplice.
(Pietro Vernizzi)