Quadrante ricco di risorse energetiche e naturali, posizionato ai confini della grande madre Russia ma allo stesso tempo in prossimità delle grandi potenze mediorientali, il Caucaso riveste un’importanza decisiva nello scacchiere per il quale Isis e i movimenti terroristici danno battaglia in questi anni. Non è infatti pensabile una forma di conquista del quadrante mediorientale che non contempli anche la presa del Caucaso e di quelle zone in cui l’estremismo è già presente e aspetta solo di essere sguinzagliato.
Ed è così che in pochi giorni alcune informazioni pubblicate sulla rete fanno tornano la memoria a chi non ha mai dato peso alle faccende riguardanti l’area caucasica; prima di tutto le cifre che vorrebbero centinaia di combattenti da quelle zone arruolati con Isis. Centinaia, forse migliaia da quei territori si sono uniti alle forze di Al Baghdadi e combattono in quei teatri di guerra; in secondo luogo l’annuncio online di Isis di aver accettato la richiesta di adesione di alcuni gruppi jihadisti caucasici e la formazione della Wilayat Qawqaz (provincia del Caucaso) comprendente Cecenia, Inguscezia, Daghestan e altri territori limitrofi. Cosa considerata una potente minaccia per la Russia da oggi in poi. Come spesso accade, però, mi corre l’obbligo di fare un po’ di chiarezza in una serie di notizie che fra loro apparirebbero slegate e contraddistinte da chissà quale novità.
Che invece novità non è. Isis stessa, infatti, ha più volte minacciato chiaramente la Russia prima di oggi, spiegando che l’obiettivo del jihad in Russia e nel Caucaso è più che contemplato. In un video pubblicato sulla rete Isis si è rivolto direttamente al presidente russo: “Questo messaggio è per te, Vladimir Putin, questi aerei che hai inviato a Bashar, noi li invieremo a te. Libereremo la Cecenia e tutto il Caucaso, se Dio vuole. Il tuo trono è minacciato e cadrà quando arriveremo a casa tua”. La guerriglia nel Caucaso, dunque, è da sempre obiettivo operativo dei seguaci del Califfo. Fra le fila di Isis, infatti, ha combattuto anche Abu Omar Al-Shishani, che sarebbe stato ucciso il 13 Novembre 2014 ma sulla cui morte mancano ancora conferme ufficiali.
E non finisce qui, perché chi oggi lancia allarmi e proclami sull’infiltrazione jihadista di Isis nel Caucaso forse dimentica decenni di storia e che proprio in Cecenia, roccaforte estremista in quel quadrante, viveva e operava Doku Umarov ovvero il “Bin Laden di Russia”, per anni nemico giurato di Vladimir Putin, colui che più di tutti ha incarnato l’ideale del regno islamico nel quadrante caucasico. Nel Marzo del 2014 i media internazionali ne hanno annunciato la morte (presunta), morte del possibile erede al trono del jihadismo internazionale. Da allora molte cose sono accadute nella sfera del terrorismo internazionale. Ad esempio l’ascesa di Isis e di Abu Bakr Al Baghdadi sulla scena mondiale come “Califfo” e “principe dei credenti”.
Cosa non casuale, secondo molti, che vedono in questo frangente una sorta di cambio di erede dinastico, magari perché non arabo e dunque difficilmente accettabile da parte della Umma islamica globale. Un quadrante da sempre infuocato dal punto di vista religioso e politico quello del Caucaso, che però non da oggi diventa cruciale nella sfida al jihadismo internazionale: così cruciale che ancora oggi le elite governanti nel mondo stranamente vedono in Putin e non in Al Baghdadi il nemico da debellare. Tanto che lo stesso Obama ha curiosamente lasciato intendere il possibile utilizzo di truppe di terra in Ucraina contro Mosca e non in Iraq e Siria contro Isis.