Doppia offensiva dell’Isis nel Nord della Siria, con i miliziani che sono rientrati nella città curda di Kobane e hanno conquistato quartieri di Hasakah. Decine di jihadisti del Califfato hanno attaccato Kobane ai confini con la Turchia, con almeno 12 persone che sono rimaste uccise per l’esplosione di un’autobomba. I combattenti sono giunti fino ai margini della città travestiti con uniformi dell’esercito curdo e dell’Esercito Siriano Libero e hanno quindi attaccato da tre diversi punti, conquistando posizioni all’interno del centro abitato. Nel frattempo lo stato islamico ha lanciato un’offensiva notturna contro la città curda di Hasakah nel Nord-Est della Siria, con scontri nel corso dei quali sono morti decine di combattenti siriani e dell’Isis. Ne abbiamo parlato con Fausto Biloslavo, inviato di guerra de Il Giornale.
Martedì è iniziata la nuova offensiva contro Kobane. Perché l’Isis ritiene che la città sia così strategica?
Perché si trova sul confine turco, e quindi è un passaggio fondamentale, e inoltre in quanto riveste un valore simbolico dopo la battaglia di gennaio vinta dai curdi. I curdi stanno cercando da giorni di avanzare verso Raqqa, capitale dello stato islamico, e l’Isis ha risposto con un’azione a sorpresa. Stanno così mettendo in difficoltà le forze curde che non si aspettavano un attacco proprio dove avevano respinto già da mesi i miliziani di Al-Baghdadi.
Perché per l’Isis è così vitale arrivare a ridosso del confine turco?
Per la Turchia passa di tutto, a partire dagli stessi volontari della guerra santa. Pochi giorni fa è stato scoperto un tunnel da 500 metri che attraversava il confine turco-siriano. In questo modo l’Isis si rifornisce di volontari, armi, strumenti logistici, medicinali e uniformi. La frontiera turca è porosa, più si riesce a controllarla e meglio è per quanti combattono per il califfato.
La Turchia è complice dell’Isis?
Essere complice forse è un’esagerazione, perché sembra alludere a una sorta di tacita alleanza. Però indubbiamente il governo turco mesta nel torbido, non solo in Siria ma in tutti i focolai dei conflitti in Medio Oriente. Ankara fa un gioco spudorato, dettato da Erdogan, per cercare di essere una nuova potenza simil-ottomana che mira all’egemonia. Per raggiungere questo obiettivo mantiene rapporti scabrosi anche con gruppi terroristici come l’Isis. In Libia per esempio non c’è solo lo stato islamico: la Turchia ha aiutato anche Ansar Al Sharia, un altro gruppo terroristico.
Resta il fatto che, a differenza di altri gruppi jihadisti, I’Isis continua a espandersi. Qual è il suo segreto?
L’Isis sta facendo sempre più proseliti, tra l’altro combattendo contro tutti. A essere determinante è soprattutto il fatto che hanno trasformato in realtà l’idea del califfato, che per lo stesso Osama bin Laden invece era soltanto un sogno. Ciò spiega il grande fascino che esercita nello stesso Occidente, soprattutto tra i giovani musulmani disadattati. Una minorenne francese ad esempio è stata fermata a Trieste mentre cercava di raggiungere i territori dello stato islamico. La ragazzina ha spiegato che voleva recarsi nel califfato in quanto è un luogo dove si vive come ai tempi di Maometto.
Che cosa ne pensa della scelta dell’Occidente di appoggiarsi a curdi e sciiti?
Se non si vogliono inviare truppe occidentali di terra non ci sono alternative. Per non parlare del fatto che esiste una teoria secondo cui le potenze occidentali intendono lasciare che questi gruppi etnico-religiosi si ammazzino tra loro, all’insegna di una sorta di “divide et impera”, in modo da controllare meglio la Regione.
Gli attacchi aerei della coalizione sono efficaci?
I raid aerei per Al Baghdadi sono una puntura di zanzara, è chiaro che non bastano.
La soluzione è un intervento occidentale di terra?
La soluzione sarebbe quella di usare tutta la forza dell’Occidente. Ciò significa bombardamenti a tappeto, uomini sul terreno, insomma una guerra vera e propria. Il problema è che oggi non abbiamo più lo stomaco per farla, in quanto ciò comporterebbe come minimo 50mila morti. Tra questi morti ci sarebbero anche civili, donne e bambini. Non siamo più in grado di condurre una guerra totale. Ma là c’è una minaccia che da regionale potrebbe diventare globale.
(Pietro Vernizzi)