37 vittime in Tunisia, 25 in Kuwait, 30 in Somalia e tre in Francia di cui uno decapitato. E’ il bilancio dell’ondata di attentati di ieri. In Tunisia in particolare uomini non identificati armati di fucile hanno preso di mira un hotel vicino alla città costiera di Sousse trucidando i turisti e il personale che hanno trovato al suo interno. Uno dei terroristi è stato ucciso dalla polizia, che ha avviato un’operazione per cercare di catturare anche gli altri complici. Ne abbiamo parlato con Camille Eid, cristiano libanese, giornalista di Avvenire e professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Qual è il senso dell’ondata di attentati di ieri?
L’Isis conta su un contingente di kamikaze che può utilizzare in ogni evenienza. Come abbiamo osservato dai tempi della guerra civile in Algeria, il Ramadan è sempre un mese nel quale si registra una recrudescenza di attentati.
Perché tra i Paesi colpiti c’è anche il Kuwait?
All’inizio di giugno c’è stato un attentato in Arabia Saudita contro la moschea sciita di Dammam, e quindi il rafforzamento delle misure di sicurezza nei Paesi vicini tra cui il Kuwait. L’Isis ha invitato i simpatizzanti nell’area a intensificare la sua opera nei Paesi confinanti. In Kuwait hanno dunque deciso di aumentare le misure di sicurezza davanti a tutte le moschee, sia sciite sia sunnite, eppure ciò non è bastato a fermare questo nuovo attentato.
In Tunisia è il secondo grande attentato dopo quello del Bardo…
Per quanto riguarda la Tunisia, sappiamo che è il Paese che fornisce il maggior numero di soldati all’Isis: si stima che il numero di tunisini che vi combattono sia intorno alle 3mila unità. Gli aspiranti jihadisti che non riescono a raggiungere Siria e Iraq se la prendono con i turisti direttamente sul territorio tunisino.
Gli attentatori hanno colpito anche in Francia. Fino a che punto l’Europa è minacciata dall’Isis?
Le rispondo con un numero. L’ultima cifra sui sudditi di sua maestà britannica che combattono nelle fila dello stato islamico era fermo a 500-600, negli ultimi giorni i jihadisti inglesi sono saliti a 2mila. Migliaia di europei sono riusciti a partire e ad arruolarsi nelle fila dell’Isis in Siria e Iraq. A loro si aggiunge un contingente di “candidati” alla guerra ancora presenti nei Paesi europei. L’Isis ha chiesto ai suoi simpatizzanti nel Vecchio Continente di colpire le città in cui si trovano.
Di fronte a questa nuova ondata di attentati che arrivano fino a casa nostra, quale può essere la risposta dell’Occidente?
E’ chiaro che è indispensabile una risposta militare proprio per l’urgenza di debellare l’Isis. Secondo notizie trapelate nelle settimane scorse dall’amministrazione americana, ci vorranno anni per sconfiggere l’Isis. Una risposta di questo tipo è a dir poco deludente. Nell’ultimo anno abbiamo assistito a una continua espansione territoriale dell’Isis, nonostante i jihadisti abbiano dovuto battere in ritirata su diversi fronti come Kobane. Hanno però occupato Palmira, preso Ramadi e si sono allargati su diversi fronti. Ci deve essere quindi una risposta militare, ma non ci si può limitare a quest’ultima.
Di quale altra risposta c’è bisogno?
Serve una risposta “ideologica” dell’islam moderato, che ancora fatica a opporre una sua tesi valida, fondata e strutturata all’estremismo propagandato da Isis con tutti i mezzi. A muoversi in prima linea in questo caso non dovrebbero essere i governi occidentali, bensì l’islam europeo. Mi riferisco per esempio alla comunità francese, tedesca, britannica, che si deve rendere conto di avere mandato migliaia di combattenti in Siria e Iraq. L’islam europeo ha il dovere quantomeno di chiedersi perché.
(Pietro Vernizzi)