NEW YORK — Il matrimonio omosessuale è “Law of the Land“, legale in tutto il Paese. Alabama, Arkansas, Georgia, Kentucky e altri dieci Stati possono scordarsi le loro proibizioni.

Se devo essere proprio sincero non mi andrebbe nè di parlarne nè di scriverne. Men che meno dopo gli attacchi terroristici di quest’oggi (ieri, ndr). Alla violenza barbara del fanatismo pseudo-religioso noi, pietra angolare del mondo occidentale, rispondiamo con la legalizzazione dei matrimoni gay. Mah… 



No, non mi straccio le vesti. Osservo solo, come si sarebbe detto una volta, che… non c’è più religione. “E Dio li fece uomo e donna…” Chi? E cos’è che avrebbe fatto?

Io le vesti non me le straccio, ma dovrò imparare a stare attento a quel che dico perché saranno altri a stracciarmele. E non si limiteranno alle vesti. In tutta questa euforia libertaria la grande sconfitta è proprio la libertà, perché senza verità non esiste libertà. E questa non è la “verità”. Il fatto che fare un’affermazione del genere mi ponga sostanzialmente “fuorilegge” documenta questa sconfitta. 



We all saw it coming, lo sapevamo tutti che sarebbe andata così. Sapevamo che la Corte Suprema avrebbe raggiunto la maggioranza a favore. Eppure l’amaro in bocca viene perché nello scegliere di non omologarmi mi pongo contro la legge del paese in cui vivo. Per essere “vero” devo essere “fuorilegge”. E questo non è bello.

Mi viene in mente un fatto di tanti anni fa. Una discussione avvenuta in quinta liceo alla vigilia del referendum sul divorzio. A quel tempo per votare occorreva essere ventunenni e quindi noi eravamo tutti fuori gioco. Ma la prof di filosofia, una gran donna, volle chiederci cosa ne pensassimo. Noi, una trentina di teenagers di fronte ad una svolta epocale per il paese. Fece la domanda e gli schieramenti apparvero immediatamente chiari, inequivocabili e decisamente sbilanciati: tutti contro due. Tutti fermamente e appassionatamente a favore contro due ragazze di Cl. Dopo aver atteso che l’ondata di insulti rivolti alle due si fosse placata, raccolte le indicazioni elettorali del popolo della classe, la prof ci gelò con un’altra domanda. Ci chiese cosa ne pensassimo dell’aborto. Dopo un attimo di totale smarrimento cominciò la baraonda. Cosa c’entrava l’aborto? L’aborto era un omicidio! La stessa parola “aborto” ci risultava ripugnante, come dire “stupro” o “incesto”. Come le veniva in mente di chiederci una cosa del genere? Perché mai tirava in ballo l’aborto nel mezzo di una discussione sul divorzio? Contrari! Tutti, ma dico tutti assolutamente contrari!



La prof, con la sua solita pacatezza, annuì, raccolse questo ulteriore risultato elettorale, ci guardò, aspetto che tornasse il silenzio e ci disse (me lo ricordo come fosse ieri): “Vedo. Capisco che siete tutti contrari all’aborto, che lo considerate un crimine”. Silenzio di tomba nell’aula. “Eppure io vi dico che l’aborto arriverà. Arriverà presto, e la maggior parte di voi sarà favorevole”. L’ennesima baraonda che segui si placò solo col suono della campanella.

Ecco, così funziona la “mentalità comune”. Si perde di vista la verità delle cose e si perde la libertà senza neanche accorgercene. 

Se qualcuno avesse dei dubbi rispetto all’esistenza del “potere”, rispetto alla capacità di persuasione che “il mondo” ha, provi a riflettere un momento sul fatto che oggi l’1,6 per cento del popolo americano è riuscito a ribaltare quello che per decine di migliaia di anni l’umanità ha sempre ritenuto vero.

Oggi quella formichina di popolazione è riuscita a rimpiazzare Dio. Perché è tutta qui la radice di questa lotta: la pretesa di essere il proprio Dio. 

Io non sono Dio, e non ho risposte adeguate. Io sono un uomo. E mia moglie è una donna. Continuiamo a testimoniare la verità della vita, dovessimo farlo anche contro la legge. E’ la verità che ci rende liberi, non la legge.