La fragile tregua in Ucraina sembra essere sempre più difficilmente mantenibile, mentre continua l’esibizione muscolare di Stati Uniti, Russia e, nel Pacifico, Cina, in un gioco che si fa decisamente pericoloso. Come usuale, ciascuna delle parti accusa l’altra per la rottura della tregua e per il conclamato fallimento degli accordi di Minsk che dovevano assicurare l’avvio di trattative concrete per la soluzione di questa tragica situazione, che ha causato più di 6mila morti e almeno 1,2 milioni di profughi.



Questo scambio di accuse non riguarda solo le parti direttamente in conflitto, separatisti filo-russi e governo ucraino, ma anche i loro sponsor, da una parte la Russia e dall’altra gli Stati Uniti con Bruxelles – dico Bruxelles perché le posizioni dei singoli Stati Ue non sono certo univoche.

In questa guerra di posizione, nessuna sembra più porsi la domanda su come si è arrivati a questo. O meglio, si danno per scontate anche qui due risposte contrapposte: da un lato, le mire espansionistiche della Russia di Putin, dall’altro, il tentativo occidentale di portare l’Ucraina in Ue in funzione antirussa. Il dramma è che entrambe sono vere ed è qui l’origine del conflitto, al di là di tutte le fittizie discussioni sul diritto internazionale, violato da entrambe le parti che hanno abbondantemente interferito nelle questioni interne del Paese.



L’Ucraina odierna è un lascito dell’Unione Sovietica, disegnata come una provincia dell’impero sovietico, con una minoranza russa, aumentata poi dal conferimento di Krusciov della Crimea, per “russificare” questa come le altre “province”, imitando la politica zarista. Al dissolvimento dell’Urss erano inevitabili le pretese russe sulle zone abitate da russofoni e l’Ue avrebbe dovuto operare per far sì che l’Ucraina diventasse un ponte tra Europa occidentale e Russia, non trasformarla in un campo di battaglia.

Le responsabilità russe sono incontrovertibili, a partire dalla presenza militare in Ucraina orientale, ma se Bruxelles non avesse seguito pedissequamente l’ottusa politica americana di accerchiamento della Russia, la sorte dell’Ucraina avrebbe potuto essere diversa. Sarà bene ricordare che Bruxelles non ha avuto remore ad accordarsi con Yanukovich, fintanto che costui era favorevole ad entrare nell’Ue.



Un’altra domanda che non viene posta è che cosa realmente vogliano le popolazioni russe dell’Ucraina orientale, se si sentano ucraini o russi, se vogliano diventare cittadini russi o se vogliano restare cittadini ucraini, ma a diverse condizioni, per esempio in uno Stato federale che riconosca la lingua russa come ufficiale accanto all’ucraino, e via dicendo. Tutte cose che, se discusse prima del conflitto, avrebbero potuto portare a una soluzione pacifica, alla quale ora è molto difficile pensare.

La guerra interna ha radicalizzato le posizioni e se in Russia, come molto opportunamente ci ha ricordato l’editoriale di Nina Semiz, sta tornando un finora impensabile clima apologetico attorno a Stalin, in Ucraina sono state varate leggi che rendono onore a movimenti nazionalisti fiancheggiatori durante la guerra dei nazisti e loro complici nel massacro di ebrei e polacchi. Costoro poi combatterono sia i nazisti che i sovietici, ed è questa la ragione della loro riabilitazione, ma ciò ha comportato il silenzio del governo e di Poroshenko sui citati massacri.

La situazione economica, nonostante le promesse di aiuto dell’Occidente, è in continuo peggioramento e le difficili condizioni di vita si assommano ai pesanti numeri di vittime e profughi. I prestiti, insufficienti, del Fmi sono condizionati alle consuete politiche di austerità che peggiorano le condizioni di vita della parte più debole della popolazione, ma che difficilmente toccheranno gli oligarchi rimasti al potere anche dopo la cacciata di Yanukovich, la cui caduta non ha neppure fermato la diffusa corruzione.

Per cosa e per chi sta pagando così duramente il popolo ucraino, qualunque sia la lingua che parla? Per l’ideologico concetto di democrazia che gli Usa stanno così disastrosamente portando in giro per il mondo? O per quell’altrettanto ideologica concezione dell’Unione Europea che portò lo scorso anno l’allora presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy, a dichiarare che sul lungo termine tutta l’Europa, esclusa la Russia, sarà in un modo o nell’altro coinvolta nell’Ue, anche senza l’accordo delle opinioni pubbliche dei vari Paesi?

Nella prossima riunione del G7, a fine giugno, Obama spingerà per l’estensione delle sanzioni contro la Russia, cercando di convincere quei governi dell’Ue che ritengono questa politica inconcludente. Le sanzioni stanno danneggiando molti Paesi europei, tra cui l’Italia, e il loro effetto reale sull’economia russa è da vedere, mentre è certo il rafforzamento del nazionalismo russo che favorisce Putin. Obama dovrebbe riflettere sul fatto che le sanzioni contro l’Iran non hanno avuto molto effetto e che ora proprio lui ha aperto controverse trattative sul nucleare, come dire che il Grande Satana è andato a Canossa.

Tocca ai Paesi europei evitare una tragica Canossa al centro dell’Europa.