Anche la minoranza cristiana torna ad essere rappresentata nel parlamento turco dopo le recenti elezioni che hanno visto il partito islamico Akp di Recep Tayyip Erdogan perdere la maggioranza assoluta. La stampa di Ankara riferisce che sono quattro i deputati cristiani eletti: si tratta di Selina Dogan, cristiana armena candidata capolista a Istanbul con il partito socialdemocratico di opposizione Chp, oltre alla giornalista Markar Esayan (Akp) e Garo Paylan nella lista del partito curdo Hdp. Il quarto è l’avvocato cristiano siriano Erol Dyra, eletto a Mardin con l’Hdp.
La sconfitta elettorale di Erdogan ha provocato il previsto crollo della Borsa turca così come anche della moneta locale, la lira. La lira turca è scesa del 5% record negativo di 2,8020 sul dollaro, l’indice della Borsa di Istanbul ha aperto con un crollo dell’8,2%. Adesso si procede con il taglio della moneta dal 4% al 3,5% e dei tassi sui depositi in dollari e dal 2% all’,15% su quelli in euro.
Svolta storica in Turchia, dove dopo tredici anni di potere ininterrotto il partito conservatore di ispirazione islamica (Akp) guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan vede sfumare la maggioranza assoluta in Parlamento. L’Akp esce comunque vincitore dalle elezioni politiche, ma dovrà cercare alleati o rassegnarsi a formare un governo di minoranza. Non è comunque esclusa l’ipotesi di tornare in breve a nuove elezioni, ipotesi avanzata del resto da alcuni settori interni al partito di maggioranza, anche se al momento sembra la meno concreta tra quelle rese possibili dai voti espressi dal corpo elettorale.
La grande sorpresa è però rappresentata dal risultato conseguito dall’Hdp, il partito di sinistra curdo nato meno di un anno fa e già capace di superare la micidiale soglia di sbarramento del 10%. L’Hdp ha infatti ottenuto quasi il 13% dei voti e dovrebbe riuscire a portare in Parlamento tra i 78 e gli 80 rappresentanti. Salahattin Demirtas, indicato da molti come l’Obama curdo, ha calamitato buona parte dei voti conservatori che in precedenza nel Kurdistan avevano premiato Erdogan. Un exploit ripetuto anche nelle regioni che confinano con la Siria, dove il malcontento verso il governo è molto forte, proprio a causa della presenza di centinaia di migliaia di profughi. Il nuovo partito, sembra aver recepito soprattutto le istanze libertarie espresse dalla rivolta dei ragazzi di Gezi Park contro la svolta repressiva e islamista impressa dal partito di governo. In particolare sembra essere stato premiato dal voto giovanile, tanto da spingere alcuni osservatori a definirlo come una sorta di Podemos in salsa turca.
Per quanto riguarda gli altri risultati reali, l’Akp è riuscito infine ad attestarsi poco sopra il 40%, che gli daranno diritto ad avere 258 seggi, contro i 276 che sarebbero occorsi per avere la maggioranza. Rispetto alla precedente tornata elettorale, avvenuta quattro anni fa, un calo secco di oltre dieci punti percentuali, che corrisponde a ben 67 parlamentari in meno. Il Chp, di ispirazione kemalista, che era del resto la maggiore forza di opposizione, ha invece ottenuto intorno al 25% dei consensi, attestandosi a 131 seggi, contro il 16% riportato dai nazionalisti del Mhp, grazie al quale il partito dovrebbe aver diritto a 82 parlamentari. Tutte le opposizioni raggiungerebbero quindi più di 290 seggi e potrebbero mettere in minoranza il partito di Erdogan. Una ipotesi comunque considerata per il momento molto remota.
L’affluenza, in base ai dati emessi dall’agenzia di stampa Anadolu, è stata molto elevata raggiungendo l’86% degli aventi diritto. Gli analisti concordano nel definire una sconfitta senza mezzi termini quella del leader turco, soprattutto considerando che Erdogan puntava con estrema decisione non solo ad ottenere ancora una volta la maggioranza assoluta, ma addirittura a sfondare la soglia del 60%. Un limite oltre il quale avrebbe potuto dare vita ad un referendum teso a conferire alla presidenza, ovvero alla sua stessa persona, il potere esecutivo. In pratica, la tornata elettorale si è trasformata in un vero e proprio referendum anticipato sulla eventualità di traghettare il paese verso una Repubblica presidenziale. Un referendum perso, nonostante le clamorose violazioni al dettato costituzionale, che pure avrebbe imposto a Erdogan di rimanere sopra le parti. La campagna del presidente è invece stata martellante, tutta sbilanciata a favore del suo partito, con una lunga serie di comizi in cui ha ripetutamente chiesto al paese di consegnargli quei 330 seggi che lo avrebbero trasformato in un superpresidente. Una ipotesi troppo simile ad una vera e propria dittatura e che ha probabilmente impaurito i settori più moderati della società turca, spingendoli a votare per gli altri partiti conservatori.
Allo stesso tempo, va ricordato come prima delle elezioni i tre partiti di opposizione avessero escluso qualsiasi ipotesi di allearsi con l’Akp, di cui avevano del resto denunciato ripetutamente le pulsioni dittatoriali e il cedimento sul piano della laicità dello Stato. Oltre a livelli di corruzione che erano stati resi pubblici dalle inchieste della magistratura, poi messe a tacere dal governo. Tra le possibilità emerse, c’è anche quella che prevede la formazione di un governo minoritario dell’Akp, sempre sotto la guida di Ahmet Davutoglu, il premier uscente. L’ipotesi di un nuovo governo formato da tutte le forze di opposizione resta al momento abbastanza aleatoria, soprattutto a causa delle frizioni tra Mhp e Hdp. A meno che i due partiti non decidano di collaborare almeno sino alle nuove elezioni, in modo da togliere all’Akp le leve del potere che il partito ha usato anche in questa tornata, senza alcuna remora. Gursel Tekin, il segretario del Chp, ha affermato che le elezioni hanno di fatto inabissato le pulsioni dittatoriali di Erdogan, chiarendo come sia del tutto impossibile un governo monocolore, aprendo invece la strada ad un governo di coalizione.