L’Isis ha rivendicato l’attentato di ieri mattina al Consolato italiano al Cairo. Un account di Twitter vicino al califfato ha reso noto che “grazie alla benedizione di Allah i soldati dello stato islamico hanno fatto deflagrare 450 kg di esplosivo piazzati dentro a una macchina parcheggiata davanti al Consolato italiano al Cairo”. L’attentato è avvenuto ieri mattina alle 6.30 e ha provocato un morto e nove feriti. Per Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, “l’obiettivo dell’Isis era chiaramente colpire l’Italia per il ruolo che sta svolgendo in Libia, dove i jihadisti di Al-Baghdadi sono in piena espansione. Nello stesso tempo, l’attentato è avvenuto in Egitto in quanto il presidente Al-Sisi è il nostro principale alleato in Medio Oriente”. Non a caso proprio venerdì il governo libico di Tobruk, insieme alle milizie di Misurata e Zintan, avevano dato il loro sì al piano dell’Onu per evitare che il Paese finisse in mano all’Isis. Ieri in mattinata però si era ipotizzato che il vero obiettivo dell’attentato non fosse il consolato italiano, bensì il giudice Ahmed al Fuddaly, considerato vicino al presidente Al-Sisi.
L’Isis ha rivendicato l’attentato. Secondo lei a che cosa mirava?
E’ chiaramente un attentato contro l’Italia. Lo scenario in cui è avvenuto è l’Egitto, ma riguarda in realtà il nostro ruolo in Libia. Il nostro Paese è alleato con il Cairo, come confermano i recenti incontri tra Renzi e Al-Sisi. I due presidenti stanno lavorando fianco a fianco per quanto riguarda il contrasto allo stato islamico in Libia, e soprattutto per colpire gli scafisti che operano anche da basi egiziane.
Quindi Libia ed Egitto sono un unico campo di battaglia?
In un certo senso sì. Non a caso nell’abc delle operazioni tattico-strategiche che facevano da corollario al piano europeo, si parlava di operazioni che potevano essere messe a segno sia in Libia sia in Egitto, sia nella stessa Tunisia. Non dimentichiamoci che Al-Sisi è il principale alleato del governo di Tobruk e il principale nemico della coalizione islamista appoggiata dall’esterno da parte di Qatar e Turchia. Una coalizione che regna a Tripoli, Zuara, Misurata e in tutte le zone costiere da cui partono i barconi degli immigrati.
Perché l’Isis dovrebbe colpire l’Italia, se il governo Renzi finora non ha fatto nulla per la Libia?
Il governo Renzi per tutta la prima fase, fino all’ottobre scorso, ha completamente dimenticato la Libia. Con l’espansione dell’Isis nel Paese, l’interesse dell’Italia è però aumentato. La stessa Tunisia è tornata a interessare la politica italiana, perché anche da lì arriva una minaccia diretta.
Qual è il ruolo strategico dell’Italia in Libia?
L’Italia è alla guida della missione internazionale in Libia. Il fatto che il governo legittimo di Tobruk venerdì abbia detto sì al documento Onu significa che l’Egitto ha preso posizione a favore del fatto che l’Italia sia a capo della missione. Dal momento che a Tobruk è insediato il governo legittimo, riconosciuto dalla comunità internazionale, ciò apre la strada a una risoluzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che appunto potrebbe far partire la missione.
Per il ministro Gentiloni, “l’Italia non si farà intimidire”. Quale ritiene che debba essere la nostra reazione?
Da mesi l’Italia riceve apertamente minacce dal califfato, e dunque nascondere la testa sotto la sabbia è deleterio. E’ meglio acquisire la consapevolezza del pericolo ed essere pronti ad agire e a fermare l’avanzata di un califfato che è soltanto a 400 chilometri dalle nostre coste. Attraverso la Libia, Al-Baghdadi minaccia la stabilità di Tunisia ed Egitto. Ma soprattutto se non fermeremo l’instabilità della Libia non metteremo mai fine ai flussi migratori che arrivano nel nostro Paese.
Gli Stati Uniti sembrano del tutto disinteressati a questi scenari. Che cosa possiamo fare da soli?
Se non facciamo nulla resteremo sommersi. Dobbiamo giocoforza occuparcene, perché la frontiera tra noi e il califfato è separata da un braccio di mare. Siamo il primo Stato europeo i cui confini toccano quelli di un Paese interessato direttamente dalla presenza del califfato. Senza dimenticare che la Libia è la nostra ex colonia e lo “scrigno” dei nostri interessi strategici.
L’Isis è in grado di trasformare la Libia in un altro Iraq?
Sì. Oggi l’Isis in Libia controlla Derna, dove pure è impegnato in duri scontri con altre fazioni jihadiste. Domina inoltre su Sirte e sui territori circostanti e ha sconfitto le milizie di Misurata che tentavano di bloccare la sua avanzata verso Ovest. Le milizie di Misurata, che a febbraio avevano circondato Sirte, qualche mese più tardi sono state messe in rotta in quanto la coalizione islamista di Tripoli non aveva fornito sufficiente sostegno in termini di armi. Il califfato in Libia è dunque in piena espansione. La sua strategia consiste nel crescere per aggregazione, inglobando i gruppi più piccoli e meno forti. E’ dunque la vera forza emergente della Libia, e se aspetteremo ancora a fronteggiarlo assisteremo agli stessi scenari di Iraq e Siria.
Nel frattempo l’Isis è sempre più forte anche nel Sinai, a Est dell’Egitto. Come si spiega questa evoluzione?
Dopo il colpo di Stato egiziano del 3 luglio 2013, è stata avviata una pesante politica di repressione nei confronti dei Fratelli musulmani con migliaia di arresti e decine di condanne a morte. Ciò ha spinto alla progressiva marginalizzazione ampi strati dei gruppi legati ai Fratelli musulmani. Molti sono fuggiti nel Sinai, dove esisteva già una componente islamista che operava fin dal 2005. Inizialmente era un terrorismo molto legato ai beduini che si sentivano emarginati dal grande business. Nel momento in cui le loro istanze si sono saldate a quelle dei Fratelli musulmani, uno dei gruppi principali ha dichiarato fedeltà allo stato islamico, e oggi dunque nel Sinai sventola la bandiera del califfato.
(Pietro Vernizzi)