“Freedom for Gino, Filippo, Salvo e Fausto”. Questo lo striscione apparso oggi all’esterno del compound di Wafa dell’impresa di costruzione Bonatti, l’azienda per la quale lavorano i quattro italiani rapiti stamattina nei pressi di Mellitah. La foto, che dunque rivela anche i nomi dei cittadini italiani sequestrati, è stata pubblicata su Facebook da Manuel Bianchi, ex collega dei quattro. “Quello che è successo in Libia – scrive sul social network – poteva benissimo accadere a me fino a un anno fa. Ci si reca in quei posti per lavorare e non per divertirsi; per farvi arrivare il gas. Questa volta non ammetto ‘se la sono cercata’ ma solo #Solidarietà”.
Anche il sindaco di Parma Federico Pizzarotti ha commentato il rapimento dei quattro dipendenti dell’impresa di costruzione Bonatti, azienda con sede proprio nella città emiliana, avvenuto nei pressi di Mellitah, in Libia. “Il mio primo pensiero va alle loro famiglie, che stanno vivendo momenti difficili e di profonda preoccupazione – ha scritto il primo cittadino su Facebook – Mi auguro che governo e ministero facciano tutto il necessario e il possibile per riportare a casa i nostri quattro connazionali”. La notizia “è difficile da digerire”, ha aggiunto Pizzarotti, “ma adesso serve tutta la nostra vicinanza alle famiglie e il lavoro responsabile delle istituzioni, per far sì che la vicenda si chiuda nel più breve tempo possibile e attuando le misure necessarie per riportarli a casa”.
“Quando ho sentito la notizia non ci volevo credere. So bene cosa sta passando in queste ore la famiglia”. A parlare, contattato dal Corriere della Sera, è Gianluca Salviato, il tecnico di Mestre rapito in Cirenaica nel marzo dell’anno scorso e liberato dopo otto mesi di prigionia. La Libia, spiega l’uomo commentando il rapimento dei quattro cittadini italiani, “è un Paese in cui si è completamente perso il controllo con l’entrata dell’Isis e la presenza di molte bande di delinquenti”. Una volta tornato a casa, Salviato spiega di aver ricevuto “diverse offerte sia per operare in Italia che all’estero, soprattutto in Est Europa e Africa. Certo dopo il rapimento la mia scala di valori è cambiata e preferirei restare in Italia vicino alla mia famiglia che andare lontano, pur guadagnando migliaia di euro di meno”. Quella vissuta in Libia “è stata una vicenda molto dura, la cicatrice rimane, ma io sono ottimista e credo che anche dagli eventi negativi si possa imparare qualcosa”, ha concluso.
La Procura di Roma ha avviato un’indagine sul rapimento dei quattro cittadini italiani avvenuto in Libia nei pressi del compound dell’Eni nella zona di Mellitah. Il reato è sequestro di persona a scopo di terrorismo e saranno i carabinieri del Ros ad effettuare i primi accertamenti per tentare di ricostruire quanto accaduto. “Stiamo lavorando con l’intelligence. È una zona in cui ci sono anche dei precedenti. Al momento ci dobbiamo attenere alle informazioni che abbiamo e concentrarci sul lavoro per ottenerne altre sul terreno”, ha detto il ministro degli esteri Paolo Gentiloni a margine di una riunione a Bruxelles.
“Esprimiamo piena solidarietà e vicinanza alle famiglie dei rapiti italiani, che stanno vivendo ore di profonda angoscia. Noi possiamo assicurare il nostro massimo impegno affinché si giunga ad una rapida soluzione di questo evento drammatico”. Lo scrivono in una nota i membri del Copasir del Movimento 5 Stelle. “Confidiamo nel lavoro e nella professionalità dei nostri uomini sul campo e non solo – si legge ancora – Pretendiamo dal Governo informazioni costanti e il massimo coinvolgimento anche del Comitato per la Sicurezza”.
I quattro cittadini italiani rapiti in Libia sarebbero stati catturati da elementi vicini al cosiddetto “esercito delle tribù” (“Jeish al Qabail”), milizie tribali della zona ostili a quelle di “Alba della Libia” (Fajr) di Tripoli. Lo ha fatto sapere l’emittente “al Jazeera” citando fonti militari di Tripoli. “Tutti gli italiani erano stati preavvertiti, chiusa l’ambasciata a Tripoli e spiegato ai connazionali che il rischio che si sarebbero assunti andando in Libia sarebbe stato sulle loro spalle perché lo Stato non poteva garantire nessuna tutela”, ha detto invece Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato, intervenuto poco fa ad Agorà su Rai3. “Il problema libico tutti lo conoscono: non c’è una statualità, ci sono tribù ed entità regionali, uno pseudo Stato a Tobruk che controlla un quarto del territorio nazionale, ed è chiaro che in questa situazione nessuno può essere tutelato – ha aggiunto – Gli italiani coinvolti sono dei lavoratori e una cosa va detta: azioni di recupero di connazionali in condizioni analoghe a questa sono avvenute anche recentemente. L’importante è consentire alla Farnesina di lavorare nel massimo riserbo perché in questi casi le pubblicità danneggiano chi è coinvolto”.
Quattro italiani sono stati rapiti in Libia nei pressi del compound della Mellitah Oil and Gas, una controllata di Eni, nella zona di Mellitah. Lo ha fatto sapere la Farnesina, aggiungendo che le persone sequestrate sono dipendenti della società di costruzioni Bonatti di Parma. L’Unità di Crisi si è immediatamente attivata per seguire il caso ed è in contatto costante con le famiglie dei connazionali e con la ditta Bonatti. “E’ difficile dopo poco ore capire la natura, i responsabili” del rapimento, ha commentato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. “E’ una zona in cui ci sono anche dei precedenti. Al momento ci dobbiamo attenere alle informazioni che abbiamo e concentrarci sul lavoro per ottenerne altre sul terreno”. La Farnesina spiega infatti che, in seguito alla chiusura dell’ambasciata d’Italia in Libia il 15 febbraio, aveva segnalato “la situazione di estrema difficoltà del paese” invitando tutti i connazionali a lasciare la Libia. Non è escluso che dietro il rapimento ci siano i miliziani dell’Isis: la zona è stata segnalata come una delle più esposte alla minaccia dello Stato Islamico che in passato aveva diffuso un video in cui mostrava la bandiera del Califfato proprio sopra il gasdotto Eni.