“Tra qualche giorno ricorrerà il secondo anniversario da quando, in Siria, è stato rapito padre Paolo Dall’Oglio – ha detto Papa Francesco durante l’Angelus di ieri -. Rivolgo un accorato e pressante appello per la liberazione di questo stimato religioso. Non posso dimenticare anche i vescovi ortodossi rapiti in Siria”. Padre Dall’Oglio è stato rapito il 29 luglio 2013 da alcuni estremisti vicini ad Al Qaeda. Il gesuita ha operato in Siria dal 1982 al 2011, quando è stato espulso dal presidente Asssad, ma nel 2013 ha deciso di ritornare clandestinamente nella parte della Siria controllata dai ribelli. I due vescovi siriani rapiti sono invece Boulos Yazigi e Yohanna Ibrahim e sono stati rapiti fra il 22 e il 23 aprile 2013. Ne abbiamo parlato con Gregorio III Laham, patriarca cattolico siriano con sede a Damasco.

Quale significato ha l’appello di Papa Francesco per i tre religiosi rapiti?

Siamo molto grati al Papa per il suo continuo impegno in favore della pace in Siria, dei profughi, dei richiedenti asilo, di quanti attraversano il mare sui barconi. Non posso che condividere l’appello di Bergoglio in favore di padre Dall’Oglio, dei due vescovi rapiti, uno dei quali fratello del patriarca greco-ortodosso Youhanna X, e dei molti altri sacerdoti e laici nelle mani dei rapitori. Vorrei ricordare anche Antoine Boutros, sacerdote greco-melchita preso ostaggio dieci giorni fa. Quello dei rapimenti è una grande tragedia per tutti noi, e quindi ringraziamo il Signore per tutte le iniziative di Sua Santità. Si tratta spesso di persone che sono state catturate da anni, e delle quali nessuno più ha saputo niente.

Da chi sono stati rapiti padre Dall’Oglio e i due vescovi?

Chi lo sa? Lo chieda a Obama e alla Cia, se sono in grado di spiare Angela Merkel possono anche sapere dove sono i religiosi rapiti.

Quali misure di sicurezza prende quando va in Siria?

Non ho mai preso nessuna misura di sicurezza né cambiato i miei programmi, sono sempre al servizio del mio popolo. Di solito passo due-tre giorni nel mio ufficio a Beirut e due-tre giorni a Damasco, ma a volte resto anche 15 giorni o un mese di seguito in Siria.

La situazione per la Chiesa in Siria è sempre più dura. Che cosa le dà la forza per andare avanti in questa situazione?

Ai discepoli nel lago di Tiberiade Gesù ha detto: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. San Giovanni nella prima lettera del resto ci ammonisce: “La vittoria che vince il mondo è la nostra fede”. La fede dei cristiani siriani è una scuola dalla quale io stesso non smetto mai di imparare. Non dimentichiamoci che la Siria insieme alla Palestina è il Paese che è stato la culla del Cristianesimo. Tutto ciò ci dà la pazienza, il coraggio e la forza per sopportare. Eppure nonostante tutto ciò ogni giorno i cristiani fuggono dalla Siria, alcuni per mare, e in molti addirittura a piedi fino in Germania.

Ai cristiani siriani lei consiglia di rimanere in Siria o di scappare?

Noi non potremmo mai incoraggiare qualcuno ad andarsene. A quanti ne hanno la possibilità noi consigliamo di rimanere in Siria, perché i vertici della Chiesa saranno con loro fino alla fine e moriranno con loro. Quando però qualcuno decide di partire, sotto la propria responsabilità, noi facciamo di tutto per aiutarlo. In questi giorni per esempio mi trovo in Germania, dove sto cercando di organizzare la pastorale per i profughi siriani.

 

I vertici della Chiesa sono disposti a restare al fianco dei cristiani siriani fino alla morte?

Sì, lo abbiamo ripetuto più volte, ma abbiamo anche un grande desiderio di rimanere vivi. Noi siamo figli della vita, stiamo attraversando una via Crucis, ma siamo anche in cammino verso la Risurrezione. Come ha detto Papa Francesco, “mai lasciare la fiamma della fede e della speranza estinguersi nei cuori”.

 

Ma dal punto di vista puramente umano esiste una qualche speranza di riportare la pace in Siria?

Una speranza ci sarebbe, se Russia, Ue e Stati Uniti unissero le loro forze e chiamassero all’unità lo stesso mondo arabo, in modo da avere una strategia comune e combattere l’Isis. In particolare devono sostenere, e non schierarsi contro i governi di Siria e Iraq.

 

Lei ritiene che Assad vada sostenuto?

Se una parte delle potenze mondiali aiuta Damasco e una parte l’Isis, non si arriverà a nessun risultato. Siria e Iraq, i due Stati che soffrono più per l’Isis, devono essere aiutati con il massimo impegno. Aiutare una volta Damasco e una volta i gruppi ribelli non è una strategia efficace.

 

Perché non sostenere anche i ribelli moderati?

In Siria combattono 28 gruppi ribelli differenti: sono divisi, deboli e incapaci. Quando l’Occidente li rifornisce di denaro e armi, immediatamente questi finiranno in mano ai gruppi più forti, cioè in definitiva all’Isis.

 

(Pietro Vernizzi)