L’attentato in cui è morto il procuratore generale Hisham Barakat dimostra la capacità delle organizzazioni armate attive sul territorio egiziano di agire con successo nonostante la decisa repressione da parte del regime. Anzi, proprio questi atti terroristici danno una concreta giustificazione alla repressione e, infatti, mercoledì il governo egiziano ha approvato una serie di emendamenti restrittivi alle leggi vigenti in materia di sicurezza, prevedendo ergastolo o pena di morte per terroristi e loro finanziatori. Inoltre, verrebbe eliminato un grado di giudizio e, in caso di appello della sentenza, deciderebbe la Corte di Cassazione con decisione definitiva, entro un periodo massimo di tre mesi.
La Fratellanza musulmana si è dichiarata estranea all’attentato, affermando di essere contraria all’uso della violenza, il che è vero per una sua parte, tanto che durante il regime di Mubarak, pur essendo ufficialmente fuori legge, aveva una forte rappresentanza in Parlamento. Nel 2012 vinse regolarmente le elezioni, ma la presidenza Morsi tentò di imporre un regime islamista, con i noti risultati. Comunque, settori non marginali dell’organizzazione sono su posizioni oltranziste e non rinnegano l’uso della violenza, come nel caso di Hamas, considerata una derivazione dei Fratelli musulmani.
Hamas non sembra però coinvolta direttamente nei violenti e prolungati scontri nella penisola del Sinai, che hanno causato più di un centinaio di vittime, tra militari egiziani, jihadisti e, come sempre, innocenti civili. Il Sinai è da diverso tempo controllato ma non governato dal Cairo, con le tribù locali di beduini che in pratica si autogovernano, dedicandosi fruttuosamente al contrabbando di droga e armi, oltre che al sequestro e al traffico di immigrati dall’Africa.
Nel nord della penisola si è installata una propaggine dell’Isis, che si definisce la provincia del Sinai dello stato islamico, trasformazione di una precedente organizzazione aderente ad al Qaeda e in buoni rapporti con Hamas nella lotta contro Israele.
Ora i rapporti sembrerebbero cambiati, almeno a giudicare da un video messo in onda recentemente da Isis, in cui Hamas è accusata di essere troppo “moderata” e di aver rapporti con gli sciiti di Hezbollah e Iran, e viene minacciata di essere travolta dalle schiere dell’Isis insieme ai “secolarizzati” di Al Fatah. A Gaza, Hamas è già sotto attacco da parte di organizzazioni locali con le stesse accuse e il video potrebbe avere lo scopo di radicalizzare le sue posizioni, determinando così una situazione più favorevole alla espansione del califfato.
Gli ultimi eventi nel Sinai indicano un elevamento nel livello delle operazioni dell’Isis, portando a veri e propri atti di guerra. In un intervista di Ahram Online a due alti ufficiali egiziani si afferma che gli attacchi, cui avrebbero partecipato almeno 300 miliziani molto ben addestrati, avevano l’obiettivo di conquistare ulteriore territorio e iniziare la marcia dell’Isis verso il Canale di Suez. Gli scontri sono durati per circa 16 ore, costringendo gli egiziani ad usare caccia F16, elicotteri Apache e carri armati.
Nell’intervista si accusano anche forze esterne, come i Fratelli musulmani di altri Paesi che avrebbero pianificato l’attacco in incontri in Turchia, un coinvolgimento di Hamas, sia pure indiretto, e l’intervento di non meglio specificati servizi stranieri di intelligence.
Con molta franchezza, vengono anche evidenziate mancanze nei servizi di intelligence egiziani, giustificate dall’estrema complessità della situazione, valutazione condivisa nell’analisi di un esperto israeliano apparsa sul Jerusalem Post, che mette peraltro in forte rilievo la determinatezza di al Sisi nella sua guerra al terrorismo.
Dall’articolo emerge un dato molto significativo, cioè l’autorizzazione di Israele all’Egitto a dislocare nel Sinai maggiori forze militari di quelle previste dal trattato di pace e il coordinamento tra i servizi di sicurezza dei due Paesi.
In questo scenario si può immaginare un ulteriore ravvicinamento tra Egitto e Israele, che sta rafforzando il suo dispositivo militare verso il Sinai, che avrebbe come nemico comune non solo l’Isis ma anche Hamas. Non a caso qualche commentatore parla di un possibile nuovo attacco, congiunto?, a Gaza e di una più stratta collaborazione, anche operativa, tra i due eserciti.