“Le divisioni in Siria tra l’Isis e i gruppi qaedisti come al-Nusra sono una bufala a tutti gli effetti. Tutti quanti collaborano sul terreno ogni giorno per raggiungere un fine comune: la costruzione di uno Stato islamico”. Lo evidenzia Domenico Quirino, inviato de La Stampa, catturato mentre lavorava in Siria il 9 aprile 2013 e rimasto prigioniero di vari gruppi tra cui la stessa al-Nusra, prima di essere liberato l’8 settembre dello stesso anno. Ieri i principali media hanno diffuso la notizia che diverse fazioni jihadiste, tra cui Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham, hanno formato una coalizione per conquistare la parte di Aleppo in mano ad Assad, escludendo però l’Isis dall’alleanza. Quirico si è recato diverse volte ad Aleppo tra il 2011 e il 2013, e c’è stato l’ultima volta proprio nel periodo della sua prigionia. Secondo l’inviato, “nella zona controllata dall’Isis è già nato un altro tipo di popolazione che non è più siriana né irakena, ma è il popolo del Califfato a tutti gli effetti. Gente che ragiona e che vive secondo una dottrina dello Stato che ci è sconosciuta come la vita su Marte. Quanti erano ostili sono stati eliminati o sono scappati, e quelli che non sono d’accordo con questo tipo di vita stanno zitti per non essere ammazzati anche loro”.
Quali obiettivi strategici ci sono dietro a questo attacco ad Aleppo cui partecipano Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham, ma non l’Isis?
Non credo a questa bizantina distinzione tra gruppi islamisti, come Isis e al-Nusra, di cui qualcuno sarebbe più colorato e qualcun altro meno. In realtà tutti i gruppi islamisti che partecipano alla guerra del Califfato hanno un unico scopo, identico, perfettamente ricalcato come carta carbone l’uno sull’altro: la costruzione di uno Stato islamico. E quindi oggettivamente collaborano sul terreno ogni giorno per costruire un fine comune. Che nell’offensiva contro Aleppo ci siano le formazioni di al-Nusra ma non dell’Isis non significa nulla. Semplicemente in questo momento i primi hanno una potenza maggiore sul terreno nella zona, mentre l’Isis è impegnato a ridurre in briciole qualche altro avversario da qualche altra parte.
Quali sono la soglia di resistenza e la strategia di Assad?
Il regime siriano è in una fase di grande indebolimento. La strategia di Assad in questo momento è di sopravvivere il più a lungo possibile. Non ha grandi possibilità di manovra, è tenuto in piedi da Hezbollah e Iran e la sua tattica militare è ridotta a ben poca cosa. Tutto ciò che può fare è ritardare il più possibile il momento del crollo.
Che cosa ha in mente Assad per riuscirci?
Il regime pensa soltanto a difendersi disperatamente. Per gli alawiti è una questione di vita o di morte, non è in gioco un certo modello di Stato piuttosto che un altro o il potere della famiglia Assad in Siria. La vittoria delle formazioni islamiste comporterebbe la pulizia etnica degli alawiti, che sono considerati sciiti miscredenti e traditori dell’Islam, e che sarebbero sterminati uno per uno.
A farne le spese sarebbero solo gli alawiti o anche le altre minoranze religiose tra cui i cristiani?
E quali sarebbero le altre minoranze religiose rimaste in Siria? Di cristiani non ne è rimasto più neanche uno. I curdi, che non sono una minoranza religiosa bensì etnica, stanno barricati sulle loro montagne. Degli yazidi quanti si sono salvati sono scappati, mentre gli altri sono venduti come schiavi sul mercato di Mosul.
Putin difenderà Assad fino all’ultimo come ha fatto finora?
I russi hanno difeso e difendono non Assad, bensì la loro presenza in Siria indipendentemente dal personaggio del presidente. E’ un’operazione che finora ha reso molto a Mosca in termini di immagine. Gli occidentali hanno dovuto riconoscere che alla fine Putin aveva ragione, in quanto la rivoluzione siriana è diventata jihadismo. E così il Cremlino si è trasformato in un alleato sul campo degli americani che bombardano i nemici di Assad.
Qual è invece la strategia degli Usa?
Ammesso che gli americani abbiano mai avuto una strategia, il loro obiettivo è cercare di contenere il Califfato senza pagarne il prezzo. Washington manda i suoi droni, effettua quale bombardamento, manda avanti curdi e iraniani, ed eventualmente lo stesso Assad se può tornare utile. Gli Usa insomma vogliono guadagnare tempo, che è poi la strategia dei deboli.
Come andrà a finire in Siria?
La prospettiva più verosimile è una spartizione della Siria sul modello dell’ex Jugoslavia. Gli alawiti controlleranno i loro territori tribali, sotto l’influenza della Russia, mentre il Califfato manterrà tutta la zona sunnita. I curdi diventeranno indipendenti sulle montagne e gli sciiti, difesi dall’Iran, conserveranno la parte meridionale del Paese. Comunque ci sarà una Siria dipendente dalla Russia ancora più di oggi. Mosca manterrà la sua base navale, la sua fornitura di armi e i consiglieri militari nel Paese.
Che cosa ci dobbiamo aspettare che accada nella zona controllata dall’Isis?
Quello che sta già avvenendo. Lo Stato islamico amministra alcuni milioni di siriani dal 2013. Questi ultimi se hanno bisogno di un certificato vanno negli uffici pubblici retti dalla burocrazia califfale. I genitori mandano i figli a istruirsi nelle scuole del Califfato, e le famiglie povere ricevono i soldi per vivere da Al-Baghdadi. In questa zona è già nata un altro tipo di popolazione che non è più siriana né irakena, ma è il popolo del Califfato a tutti gli effetti, che ragiona e vive secondo questa nuova dottrina dello Stato. Quanti erano ostili sono stati eliminati o sono scappati, e quelli che non sono d’accordo con questo tipo di vita stanno zitti per non essere ammazzati.
Lei è stato nella parte di Aleppo controllata dai ribelli. Come si vive?
All’epoca il controllo era dei rivoluzionari, ma esisteva già un numero consistente di formazioni jihadiste. Mi hanno portato di nuovo ad Aleppo nel periodo della mia prigionia, quando gli jihadisti avevano spazzato via tutti gli altri ed erano la formazione di punta. Aleppo era una città costantemente sotto bombardamento. I pochi che riuscivano, non molti, sopravvivevano. C’erano interi quartieri completamente rasi al suolo, in cui c’erano solo cecchini e piccoli gruppi armati che si davano la caccia.
Quali sono le condizioni della popolazione civile di Aleppo?
La popolazione è priva delle cose essenziali, e già dalla fine del 2012 ho visto la situazione deteriorarsi. Non c’era cibo, non c’erano medicine, l’acqua andava e veniva, l’elettricità era spesso inesistente. Essendo crollati interi quartieri non c’erano più negozi, i forni erano ridotti al minimo e c’era poca farina, e quindi la gente faceva code lunghissime e se ne tornava a casa senza avere ottenuto neanche una pagnotta.
(Pietro Vernizzi)