Dalla terrazza di un albergo, con lo sfondo del profilo neo-classico del Parlamento ellenico, un “chi”, di cui non ricordo il nome, e in collegamento diretto sparava le sue cannonate contro un pacioso e ragionevole Paolo Mieli (lunedì sera su “La7”). Per caso si immaginava sul ponte della corazzata Potëmkin? Mi ha stupito molto una sua analisi che mi fornito la sua metratura ideologica. Ha detto che Russia e Cina avrebbero sicuramente aiutato Atene ad uscire dalla crisi.
Vero? No, falso. Pechino, ancora prima del referendum, aveva invitato Atene a non uscire dall’euro. La ragione? In pura logica del capitalismo, perché la società cinese, a controllo statale, Cosco avrebbe visto andare in fumo il suo investimento per il porto del Pireo (mezzo miliardo, più 600 milioni qualora il governo Tsipras decida di vendere la maggioranza delle quote della società pubblica che lo controlla). Ma non solo, una delle porte strategiche della Cina verso la zona euro verrebbe sbarrata. Falso anche per la Russia. Subito dopo la vittoria del “no”, Putin ha chiamato Tsipras invitandolo a trovare un accordo con i creditori. Le ragioni russe sono diverse da quelle cinesi. Ma entrambi hanno bisogno che Atene resti nell’euro. A proposito, Tsipras ha ricevuto due lettere di felicitazioni da Fidel Castro e da Nicolas Maduro. Risparmio al lettore il loro contenuto.
Il “chi” ha poi continuato a caricare il suo cannone e a sparare – non aggiungo, per non essere volgare, il complemento oggetto d’obbligo. Imbarazzante sentire gli altri suoi ghirigori politici, supportati da palesi inesattezze. A lui e a tutti gli italiani che sono scesi ad Atene per festeggiare la vittoria della democrazia si augura un buon viaggio di ritorno, accompagnati dalla certezza che nessuno impedirà loro di accedere al conto bancario. D’altra parte perché non sfruttare l’occasione offerta dal referendum ellenico per montare altre autoctone impalcature ideologiche?
A concludere, nel gennaio del 2015, la campagna elettorale di Syriza, sul palco con Alexis Tsipras abbiamo visto il leader di “Podemos”. I pellegrini italiani erano invece confusi tra la folla. A urne chiuse, ieri Pablo Iglesias ha affermato: “Siamo molto amici di Syriza, ma per fortuna la Spagna non è la Grecia. Abbiamo un’economia molto più robusta e un Paese con una situazione economica migliore. Le condizioni sono diverse e penso che non ci sia ragione di fare paragoni”. Per inciso, secondo il quotidiano “El Mundo”, il 77% degli spagnoli è convinto che il “no” porterà alla “Grexit”. Comunque sia, potremmo cambiare la parola “Spagna” con “Italia”? Ragionevolmente sì.
Al “chi” e altri compagni chiedo se la dichiarazione di Varoufakis “Il greco non vuole lavoro vuole dignità” è di sinistra, ricordandogli il primo articolo della nostra Costituzione. Chiedo anche se è di sinistra assistere alle code di pensionati che aspettano ore – ad Atene la temperatura è intorno ai 35 gradi – per ritirare pochi spiccioli. È dignitoso per loro? Ed è di sinistra accettare la differenza tra coloro (sempre a proposito di pensionati) che, senza bancomat, possono ritirare soltanto 120 euro la settimana, e coloro che, in possesso del bancomat, possono mettersi in tasca 350 euro? Sia anche chiaro che, con le attuali condizioni, a fine luglio la loro pensione non verrà versata.
Beh, però la democrazia ha trionfato. Tra pochi mesi forse si discuterà, ma se permettete compagni italiani la discussione lasciatela ai diretti interessati: se era meglio il referendum di domenica scorsa o la scelta – presa alcuni mesi fa – di salvare la nazione anziché perdere tempo con dispute lessicali sul “Memorandum” e sulla “Troika”. Deve essere chiaro che se mai si arriverà a un nuovo accordo, questo conterrà condizioni per cambiare dalle fondamenta questo Paese. Tra pochi giorni, quando l’arco di trionfo della democrazia scricchiolerà sotto il peso di condizioni economiche disastrose, inviteremo il “chi” – e altri se vogliono, l’invito è aperto a tutti – a firmare un appello di crowdfunding per il suo restauro. I greci non hanno attualmente molte disponibilità economiche, almeno quelli che hanno pagato le tasse.
Al “chi” e altri compagni chiedo anche se hanno mai ascoltato attentamente le surreali dichiarazioni di Yanis Varoufakis. Alcune facevano venire i brividi, se lette nel contesto ellenico della crisi. In un altro possono essere uno stimolo per una forbita discussione accademica. Ogni sua dichiarazione era un tassello di una sua strategia indirizzata all’uscita del Paese dall’euro. La sua ultima proposta da ministro? Introdurre una moneta parallela (il Iou, cioè “I owe you”, per ironia rimanda a “I love you”), cioè preparare il Paese all’introduzione della “dracmula” (diminutivo di dracma). Oppure ascoltare la sua valutazione politica, letta a caldo e in maglietta – quasi fosse arrivato da una giornata trascorsa al mare (ma lui si considera un “uomo contro” a prescindere) – sul risultato del referendum? Un rosario di accuse alle istituzioni europee e via discorrendo. È una delle ragioni del suo siluramento. L’altra, più pesante, è la sua scorrettezza istituzionale per aver preceduto il primo ministro nel fare l’analisi del risultato, quasi se come “zar” delle finanze e supremo “guru” della teoria economica (quale?) avesse il diritto di esporre la linea del governo.
Scomponendo il risultato del referendum, si scopre che il 67% dei compagni del Kke ha votato per il “no”, nonostante la linea del partito fosse per l’astensione o l’annullamento della scheda. È il trionfo della democrazia! In sintesi, il governo ha inneggiato alla vittoria prima di iniziare la battaglia di Bruxelles. “Chi” domani, in tranquillità, leggerà sui quotidiani italiani il risultato del primo incontro tra Tsipras e i 18 di ieri pomeriggio – ne seguiranno altri, si spera – potrebbe magari interrogarsi se il referendum ha ottenuto il risultato voluto oppure è stato l’atto finale di una politica scellerata che ha anteposto le dispute ideologiche di un partito indisciplinato all’interesse del Paese.
Ma se lunedì sera “chi”, quando ha sparato le sue cannonate, avesse ascoltato qualche diretto interessato alla crisi, avrebbe capito che l’ubriacatura da trionfo già nel tardo pomeriggio, nei greci si stava trasformando in angoscia per il domani, perché nulla lunedì sera era più una certezza, tranne la percentuale del trionfo. Né la data delle apertura delle banche, né se i conti bancari subiranno o meno un prelievo forzoso, né le ripercussioni sull’economia privata, né il contenuto del possibile nuovo accordo. L’unica certezza: Tsipras a Bruxelles espone oggi martedì la sua bozza – approvata da tutti i partiti dell’arco costituzionale – e spiega ai 18 il significato politico del “no”, e aspetta le reazioni.
I giornali di ieri martedì riportavano tre scenari: accordo e riforme strutturali, rottura e moneta parallela, oppure “Grexit” e aiuti umanitari. Tsipras, con la forza del 61,31% dei greci, ritornerà vincitore? E nel caso in cui i 18 gli presentino un accordo inaccettabile? A rigore della sua logica politica dovrebbe indire un altro referendum per consultare il “popolo” circa l’eventuale uscita della Grecia dalla zona euro, ma l’esito potrebbe divergere dal risultato di domenica scorsa. Oppure avviare le procedure per un governo di salvezza nazionale. Non era questo l’obiettivo che si era prefisso. (Atene, martedì 7 luglio, 14.00 ora locale).
P.S.: La foto del pensionato, Jorgos Hatzifotis, 77 anni, seduto davanti a un banca in lacrime, ha fatto il giro del mondo. Ed è arrivata in Australia. “Questo uomo è un compagno di scuola di mio nonno”, scrive l’ellino-australiano James Kufos, sul suo profilo Facebook. E aggiunge: “Gli pagherò la pensione per dodici mesi, e non 120 euro alla settimana, ma 250. Non posso permettermi di veder crollare un orgoglioso connazionale, duro lavoratore. Prego chiunque di fornirmi i dati di questa persona”.