Da qualche tempo sono in aumento le analisi che mettono in evidenza il rischio di mettere insieme i “pezzetti della Terza guerra mondiale già iniziata”, per dirla con Papa Francesco.

Significativo a questo proposito è il documento da poco uscito dal Pentagono, la National Military Strategy che aggiorna la precedente edizione del 2011, in cui si esplicita il rischio, ancora basso ma crescente, che gli Stati Uniti vengano coinvolti in una guerra con una delle altre maggiori potenze. L’elenco dei possibili candidati allo scontro vede al primo posto la Russia seguita dalla Cina, cui si aggiungono Iran e Corea del Nord.



Il rapporto sottolinea la necessità che gli Stati Uniti rafforzino i legami con gli alleati per far fronte alla guerra verso le entità “non statali” come l’Isis, che richiederanno una guerra prolungata per molti anni e secondo schemi diversi da quelli tradizionali. Si ribadisce tuttavia che gli Stati Uniti sono pronti a portare avanti unilateralmente le iniziative necessarie.



Una certa preoccupazione traspare dalla constatazione che la leadership statunitense si è attualmente ridotta rispetto alla relazione di quattro anni fa, soprattutto per quanto riguarda la superiorità tecnologica. Si sottolinea, peraltro, che essa non è più garanzia di vittoria in guerre come quella contro l’Isis.

Questo nuovo scenario comporta una riorganizzazione dell’apparato militare americano e una maggiore integrazione tra le sue varie componenti, insieme a investimenti per ricostituire una posizione di predominanza anche qualitativa.

Il documento pone in rilievo che “il successo dipenderà sempre più da come i nostri mezzi militari riusciranno a sostenere gli altri strumenti di potere e a rafforzare la nostra rete di alleati e partner“. Alleati che — sembra implicito ed è stato comunque esplicitato in altre occasioni — dovranno fare la loro parte e non aspettarsi più che lo zio Sam risolva da solo tutti i problemi.



L’attenzione rimane concentrata sull’area del Pacifico, pur affermando la necessità di sviluppare la presenza nelle altre aree. L’Europa viene sostanzialmente descritta all’interno della Nato, cui viene esplicitamente attribuito il compito di contrastare la politica espansiva “diretta o per procura” che minaccia i Paesi limitrofi. Il documento definisce “ibride” le nuove forme di guerre, in cui accomuna sostanzialmente Isis e Russia.

Sembrano questi i più pericolosi avversari nell’immediato, anche se lo sviluppo degli armamenti della Corea del Nord, se non fermato, può diventare una minaccia anche direttamente per il territorio americano.

Anche l’Iran con il suo programma nucleare rimane un pericolo per i militari, che sembrano non contare molto sugli attuali colloqui con Teheran per trovare una soluzione concordata, in questo allineandosi con una parte non indifferente della politica americana.

E’ più sfumata, paradossalmente, la posizione nei confronti della Cina, che pure si presenta come il vero avversario strategico degli Stati Uniti. Non si tralascia ovviamente di accusare Pechino di mire espansionistiche, a cominciare dalle costruzioni, in prospettiva anche militari, sulle isole contese del Mar della Cina del Sud. Tuttavia queste accuse sono precedute dall’invito a sostenere la crescita della Cina e a incoraggiarla a collaborare alla costruzione di una maggiore sicurezza internazionale. 

In altri termini, un’ingiunzione alla Russia di rientrare nei ranghi stabiliti dagli Usa e dalla Nato, mentre alla Cina viene offerta una possibilità di collaborazione, si suppone a fronte di una rinuncia alle sue tendenze espansionistiche, soprattutto nei confronti degli alleati asiatici degli Usa. Pechino non l’ha presa bene e la portavoce del ministero degli Esteri ha espresso l’irritazione cinese per quelle che si ritengono esagerazioni irrazionali di un rapporto di parte: “Noi pensiamo che gli Usa dovrebbero abbandonare la loro mentalità da Guerra Fredda“.

Che si fosse tornati alla Guerra Fredda era ormai purtroppo evidente, ma questo documento ufficiale dell’establishment militare statunitense lascia ancor meno tranquilli. I militari fanno il loro mestiere e, quindi, si preparano alla guerra. Il rapporto è stato presentato e illustrato dal generale Martin Dempsey, capo degli stati maggiori congiunti, che andrà in pensione tra pochi mesi. La parola passa ora ai politici, ma anche Obama andrà in pensione come presidente, sia pure tra un anno. 

La terza guerra mondiale non sarebbe un bel lascito da parte di un Nobel per la Pace.