“Akouson men, pataxon de”. “Prima ascoltami, poi colpiscimi”, è un passo ripreso dalla “Vita di Temistocle” scritta da Plutarco. Alexis Tsipras ha parlato al Parlamento europeo. Nel suo accorato appello ha ripetuto le sua analisi politiche della crisi ellenica, ma è stato sibillino, e ha usato la stessa narrazione che parecchie volte si è sentita in Parlamento ad Atene. Ha aggiunto che si assume tutta la responsabilità politica per i cinque ultimi mesi e che la crisi non è solo ellenica, ma europea. E poi finalmente un’amara ammissione: per tutte le sofferenze della mia nazione, gli stranieri non sono i colpevoli.
Se si andasse, infatti, a ricercare le colpe dello “stato delle cose” elleniche, si dovrebbe risalire indietro di mezzo secolo, dal 1974 a oggi. E in percentuale la colpa di Tsipras avrebbe un peso non superiore al 10%, l’altro 90% andrebbe imputato a una “casta” – socialisti e conservatori – che ha distrutto il Paese, con politiche scellerate e irresponsabili. Ancora lo scorso lunedì sera, i presidenti del socialista Pasok e del conservatore Nea Democratia – dopo l’intesa per una linea politica comune nella gestione della crisi – hanno dimostrato la loro miopia politica. Hanno dichiarato entrambi che la convocazione di tutti i partiti era arrivata tardi. Peccato che rispettivamente i loro primi ministri, Papandreou prima e Samaras poi, non abbiano mai preso in considerazione questa scelta politica. Discutere cinque anni fa, quando è scoppiata la crisi, sul destino del Paese ne avrebbe forse cambiato le sorti. Gli europei da parte loro non hanno indagato a fondo sulla vera identità del richiedente il finanziamento, erano troppo occupati a salvare le loro banche, come ha anche ricordato ieri Tsipras.
61 (percentuale del “no”) più 39 (“sì”), in matematica fa 100, ma può anche fare zero in politica. Ad Atene il terremoto della Borsa di Pechino non è stato registrato dai sismografi. Non si ha spazio per l’oltre confine. Si sta discutendo del futuro del Paese. Domenica prossima i greci sapranno se la somma sarà cento o sarà zero. Nel primo caso scorreranno l’indice delle misure che saranno applicate. Nel secondo caso, nessuna previsione. Il giovane Alexis Tsipras è “ottimista”. Da sei mesi, forse anche per carattere.
Il governo crede che domani o sabato si firmerà un accordo onorevole per tutti, con serie riforme nel rispetto della giustizia sociale, con la copertura dei bisogni finanziari, con un pacchetto di investimenti che possa contrastare la disoccupazione, e infine con una discussione sostanziale sulla ristrutturazione del debito pubblico. Questi i suoi “desiderata”, già noti da tempo. Questi appunti dovranno però essere quantificati in denaro contante e leggi approvate e, soprattutto, applicate.
Alcuni colleghi giornalisti televisivi di stanza a Bruxelles raccontano di uno Tsipras che esce con i tratti tesi dalla sala riunioni, e che, in pochi metri, rilassa i suoi muscoli facciali prima di entrare nell’obiettivo delle telecamere. “Mi fa pena”, confessa un collega. Ma suo dovere è rassicurare l’opinione pubblica. Sono tuttavia mesi che sprizza fiducia senza portare a casa alcun risultato. D’altra parte anche tutti i suoi ministri sono fiduciosi, molti di loro però spudoratamente bugiardi.
Jorgos Katruvalos, vice ministro per le Riforme, costituzionalista e professore universitario aveva detto: “Con il no le banche riapriranno lunedì (6 luglio, ndr), con il sì resteranno chiuse”. Giorgos Stathakis, professore universitario di economia politica e autore di diversi saggi scientifici, ministro dell’Economia: “Il 15 di luglio verrà regolarmente versata la quindicina degli impiegati pubblici e dei pensionati”. Dove si troveranno i 550 milioni da versare sui conti?
Nadia Valavani, vice ministro delle Finanze, economista. Domenica sera, a urne appena chiuse, ha dichiarato in televisione che lunedì si sarebbe potuto accedere alle proprie cassette di sicurezza accompagnati da un funzionario senza però ritirare denaro contante. Un’enorme e pericolosa “bufala”. A proposito della vice ministro, vale la pena di riferire una sua altra decisione. In riva al mare, alla periferia sud della capitale, migliaia di ettari abbandonati (erano la sede del vecchio aeroporto della capitale), definiti un “gioiello appetitoso”avevano suscitato l’interesse di un fondo sovrano medio-orientale. Per una serie di ragioni burocratiche la vendita è stata sospesa. Gli arabi avevano previsto un investimento di 5 miliardi per creare un’oasi per super-ricchi e lavoro per circa 50 mila persone. Un mese fa circa, la vice-ministro ha concesso l’uso di più di cento ettari dell’ex area aeroportuale alla società della raccolta rifiuti per la costruzione di una nuova discarica pubblica.
È più onesto, Costas Lapavitsas, parlamentare ed economista, professore di economia all’Università di Londra, quando chiede la “rottura”, il ritorno alla dracma, accompagnata dalla tessera annonaria. Lui fa parte di quell’allegra combriccola di compagni che sono a favore di decisioni di “orgoglio” nazionale e di “riscatto” economico. Sempre battagliero anche l’altro “dracmista”. Regolare come un orologio rotto, che due volte al giorno segna l’ora esatta, ecco arrivare l’interpretazione della vittoria del “no” redatta dal leader della corrente comunista di Syriza, appena Alexis Tsipras ha ricevuto l’ultimatum europeo. Per il ministro Panagiotis Lafazanis – nella sua biografia sul sito del Parlamento, si legge “matematico” – il 61% fa 100 e basta. La sua analisi porta questo titolo: “Da un summit all’altro si riduce la richiesta popolare ellenica di dignità”. Breve summa (per non offrire conforto ai comunisti nostrani): “La Grecia non possiede una, ma tante scelte. Tutte difficili. La peggiore, la più umiliante e insopportabile è la resa e la sottomissione alle ‘istituzioni’ della Ce, della Bce e del Fmi”. Quali scelte? Mosca? A Putin serve la Grecia nella zona euro. Pechino? In questi giorni ha altre incombenze. Caracas? Il suo presidente, nel suo messaggio ad Atene in vista del referendum, ha ricordato ai greci che i venezuelani si sono nutriti di mangime per animali pur di espellere il Fmi. Buenos Aires? Più che un’analisi di sinistra, il suo ragionamento sembra sinistro. Ma tant’è, in molti lo hanno votato, e lui, anche durante la campagna elettorale, non ha mai nascosto il suo amore per la dracma.
Comunque, se mai si arrivasse a un accordo e se venisse portato in Parlamento, il suo ricatto varrebbe zero. Tsipras ha dalla sua tutti i partiti dell’arco costituzionale. Nel fine settimana sapremo se la Grecia uscirà o no dall’euro. Qualunque sia l’opzione, un dilemma verrà chiarito. Nel 1981, prima dell’ingresso della Grecia nella Cee – voluto da Konstantinos Karamanlis – il vecchio – e contestato dal socialista Andreas Papandreou -, il poeta premio Nobel Odisseas Elitis mise in guardia i suoi concittadini: attenzione, disse, noi abbiamo una doppia anima, una europea e una levantina. Dobbiamo scegliere.