Secondo voci riportate dal Mail on Sunday, l’Isis avrebbe programmato un attentato per il prossimo 15 agosto durante le commemorazioni del settantesimo anniversario della vittoria sul Giappone, cui parteciperà la Regina Elisabetta con altri membri della famiglia reale. Le modalità dell’attentato ricalcherebbero quelle dell’attentato del 2013 a Boston, dove l’esplosivo nascosto in una pentola a pressione causò tre morti e più di duecento feriti. L’attentato potrebbe essere mirato direttamente alla regina.



Il portavoce della polizia metropolitana, nel confermare che il pericolo di attentati è reale, ha affermato che il livello di guardia è molto elevato e altrettanto lo sono le misure di sicurezza predisposte, incitando i cittadini a non cambiare i loro programmi di partecipazione alle manifestazioni. Buckingham Palace si è astenuto dal commentare la notizia.



E’ del tutto comprensibile la posizione della polizia londinese, diretta a non creare panico, pur non sottovalutando i rischi di un possibile attentato. Nell’invitare i cittadini a partecipare alle manifestazioni lascia però intendere che un tale attentato, per di più alla regina, non sembra abbia probabilità di realizzarsi e che, comunque, gli apparati di sicurezza sono in grado di sventare eventuali tentativi.

L’Isis ha comunque raggiunto il principale obiettivo della sua guerra mediatica, cioè tenere in costante tensione l’opinione pubblica dei Paesi che considera nemici. Non so quanto i doverosi comunicati della polizia tranquillizzeranno l’opinione pubblica inglese, lo si vedrà a Ferragosto. L’augurio è che non vi sia nessun attentato e non vi siano nuove innocenti vittime, ma se qualcosa sciaguratamente succedesse è improbabile un coinvolgimento diretto della Regina Elisabetta. Difficilmente, però, la polizia riuscirebbe a proteggere tutti i partecipanti alle manifestazioni e il riferimento all’attentato di Boston, con la “banalità” della pentola a pressione, è particolarmente minaccioso. Come lo è il crescente utilizzo di donne e minorenni come attentatori suicidi.



La indicazione come obiettivi di personaggi quali la Regina, il Papa, o di luoghi come Roma o la Casa Bianca, al di là della reale probabilità di esecuzione, ha un forte effetto simbolico e propagandistico. Un effetto non limitato agli aderenti all’Isis, ma esteso a quella parte non irrilevante del mondo musulmano che, pur non appoggiando l’Isis, vede quei personaggi e luoghi come nemici. Sarà bene ricordare l’entusiasmo con cui molti musulmani accolsero l’11 settembre.

In questo modo il califfato ottiene un altro risultato importante, spingendo l’Occidente a considerare l’Isis quasi esclusivamente un’organizzazione terroristica e mettendo in secondo piano l’essersi costituito in un vero e proprio Stato. Così l’Isis finisce per sembrare un specie di al Qaeda più sanguinaria.

Invece lo stato islamico esiste, né sembra così semplice da eliminare: a differenza di altre organizzazioni terroristiche è facilmente identificabile territorialmente, ma è difficile annientarlo senza l’intervento pesante di truppe di terra. 

I bombardamenti aerei, per quanto mirati, provocano molte vittime tra i civili, diventando armi di propaganda per il califfato. Per quanto fasullo lo si consideri, esso facilita pericolose strumentali identificazioni da parte di altre organizzazioni che, con metodi terroristici, controllano anch’esse territori, come Boko Aram in Nigeria.

Compiere atti terroristici, anche particolarmente efferati, non basta a definire compiutamente chi li compie e ciò appare tanto più evidente in quest’anno in cui si ricorda la distruzione di due città e della loro popolazione civile ad opera di uno Stato che si propone come campione delle libertà e della democrazia. E’ anche troppo facile immaginare come quelli di Isis, al Qaeda, Boko Aram e simili potranno utilizzare Hiroshima e Nagasaki per dimostrare la strumentalità delle accuse di terrorismo che provengono dall’Occidente. 

La lotta all’Isis può essere condotta più efficacemente prendendo atto della realtà dello stato islamico, uno Stato “canaglia” come si diceva un tempo, come l’Afghanistan dei Talebani, l’Iraq di Saddam Hussein o la Libia di Gheddafi. Anche Hamas è considerata un’organizzazione terroristica, ma ciò non le impedisce di governare la Striscia di Gaza ed essere considerata all’interno delle trattative per la costituzione di uno Stato palestinese.

Preghiamo che “God save the Queen” anche dall’Isis e che insieme a lei salvi il Medio Oriente dall’abisso in cui sta sprofondando.