Della visita di Angela Merkel all’Expo resta soprattutto il “non detto”. Il body language politico-diplomatico del cancelliere tedesco, ieri, è stato tutto mirato a confermare una sola situazione: la perdurante “sospensione” delle relazioni fra la Germania e i Paesi del Sud Europa dopo l‘affaire greco. Difficile contestare le ragioni d’opportunità del premier di Berlino, che stamattina – salvo colpi di scena – è attesa al Bundestag, per l’inizio della discussione parlamentare sulla ratifica dell’accordo con Atene. Quando i deputati tedeschi voteranno – prevedibilmente entro domani – lei sarà in Brasile, alla guida di una missione politico-commerciale cui parteciperà mezzo governo. Fra queste due guidelines di agenda non poteva esserci spazio che per una visita ultra-privata, marcata dalla presenza del coniuge (anche se a frau Merkel non dev’essere affatto dispiaciuto il gran concorso di pubblico ieri a Rho).



Fra oggi e domani – da un lato – la super-cancelliera della grosse koalition vuole dimostrare il massimo del rispetto a quei deputati della sua Cdu-Csu che dovrebbero votare “sì” (o comunque non votare “no”) fra molti mal di pancia. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble ha già preannunciato la sua raccomandazione favorevole – soprattutto ai “suoi” deputati – ma lui stesso si è probabilmente voluto cautelare: anche in Germania nessuno ha la certezza che saranno veramente pochi quelli che rifiuteranno di dare un via libera obtorto collo al terzo salvataggio della Grecia. Ma una conferenza stampa sulla piattaforma Expo avrebbe potuto riservare altre insidie alla cancelliera con la valigie in mano per Brasilia.



La questione del super-export tedesco sta crescendo di profilo in questo complicato inizio d’autunno. Non a caso la Merkel ha voluto parlare “sul suolo tedesco”: in un’ìntervista televisiva all’ammiraglia Zdf, prima di partire per Milano. Ma la sua preoccupazione per l’ondata di migranti dal Mediterraneo (600mila richieste annue d’asilo stimate nel 2015 in Germania) è sembrata in parte una cortina fumogena: la Grecia “non è più il problema prioritario”, ha detto la Merkel, senza peraltro promuovere Atene, semmai “rimuovendola”, almeno nel brevissimo termine. E la stessa escalation di attenzione per i barconi – un problema che riguarda essenzialmente Italia e Grecia – è parsa un po’ di circostanza.



Di là dell’Atlantico – ma a nord dell’Equatore, ben sopra il Brasile – hanno iniziato a lamentarsi del caro-dollaro che starebbe già frenando la ripresa Usa: quella che – la Fed dice da mesi – era prodromica al rialzo dei tassi come momento simbolico della chiusura “definitiva” della Grande Crisi. Ma il “New York Times” ha ricominciato a bombardare la Merkel ritorcendole un’accusa già ampiamente utilizzata in passato (recentissimamente durante il “luglio greco”): quella di aver utilizzato le debolezza dei Paesi periferici dell’euro e le risposte tutte all’insegna dell’austerity in termini di puro rafforzamento dell’Azienda-Germania, a modo suo una manovra anti-euro.

La “Deutschland Ag” avrebbe largamente profittato di una lungo fase di “debito a costo zero” (sia per lo Stato che per le imprese), sia degli spazi comunque creati dall’euro forte alle produzioni tedesche rispetto alle Aziende-Paese incatenate dalle politiche recessive imposte da Ue, Bce, in ultima istanza da Berlino.

Se nell’estate 2011 la Merkel – gigioneggiando con l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy – decretava la fine del governo Berlusconi (ma forse un po’ anche la finis Italiae), nell’agosto del 2015 non si è spostata di molto tenendo a distanza il premier italiano in carica, Matteo Renzi, e con lui tutta l’Europa mediterranea. Ancora troppo alto il rischio-Italia (e forse anche il rischio-Renzi in diretta davanti alla stampa).