Corsa contro il tempo dell’inviato dell’Onu, Bernardino Leon, per formare un governo di unità nazionale in grado di pacificare la Libia. Il piano di Leon prevede un accordo tra le attuali 24 fazioni libiche sul programma di governo, una serie di emendamenti alla Costituzione e i nomi di premier, due vicepremier e massime cariche finanziarie del Paese. A mancare però è la firma di quattro delle 24 fazioni tra cui anche quella del governo di Tripoli, che controlla all’incirca la metà del Paese, anche se il governo ufficiale riconosciuto dalla comunità internazionale ha sede a Tobruk. Ma soprattutto, come spiega Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, il piano dell’inviato Onu Leon “in realtà non è solamente una perdita di tempo, ma è anche un’operazione dannosa per la sicurezza della Libia”.



Leon riuscirà a coinvolgere il governo di Tripoli nell’accordo?

Il piano per coinvolgere il governo di Tripoli è un’utopia, tanto è vero che il suo premier non ha firmato né mai firmerà l’accordo per la formazione di un esecutivo di unità nazionale con le autorità di Tobruk. Tutto ciò per il semplice motivo che questo significherebbe mettere fine al progetto dei grandi protettori delle milizie islamiste di Tripoli, ovvero Qatar e Turchia, le quali vogliono garantirsi un’egemonia sulla Libia.



Con quali conseguenze?

La conseguenza è che non ci sarà alcuna firma. Anche tra le 20 fazioni che hanno firmato il documento di Leon molte rappresentano solamente se stesse. Manca totalmente qualsiasi iniziativa o sostegno a Leon da parte delle milizie armate, ovvero di quanti controllano effettivamente il territorio.

Vuole dire che il piano di Leon è una perdita di tempo?

Dietro al piano di Leon si nasconde la speranza che la situazione in Libia migliori da sé o quantomeno non peggiori. In realtà non è solamente una perdita di tempo, ma è anche un’operazione dannosa perché consente allo Stato Islamico di allargare i suoi territori e la sua influenza, mentre il resto del mondo è impegnato in discussioni sterili e inconcludenti.



Bagnasco ha chiesto polemicamente: “Che cosa fa l’Onu per i migranti?”. E’ d’accordo con lui?

Bagnasco ha sicuramente ragione. Abbiamo mai assistito a una nave delle Nazioni Unite attraversare il Mediterraneo per raccogliere migranti? Abbiamo mai visto l’Onu all’opera in Libia nei centri di detenzione dove sono tenuti i rifugiati? Oppure nei centri lungo la costa dove gli immigrati sono bloccati in depositi umani gestiti dai trafficanti? Perché tutto ciò non è avvenuto? Non abbiamo mai visto nulla di tutto ciò perché l’Onu è assente dalla Libia, in quanto se ne è andato un mese fa. Le Nazioni Unite mantengono i loro uffici in Egitto e Tunisia, a budget invariato, e pagando i loro funzionari per starsene ben lontani da dove dovrebbero essere. Quindi l’Onu è non solo sostanzialmente indifferente ma anche totalmente assente.

Nel frattempo che cosa sta facendo l’Italia?

In un primo periodo il governo italiano aveva tentato di sostenere l’azione del Cairo, suggerendo un’alleanza con l’Egitto per contenere l’avanzata dell’Isis. Il nostro esecutivo se ne è poi lavato le mani, favorendo l’inazione promossa da chi suggeriva invece di appoggiare l’azione diplomatica di Bernardino Leon. Un’azione diplomatica che dura attraverso incessanti e inconcludenti colloqui da più di 12 mesi.

 

Davvero l’azione di Leon è stata così inconcludente?

Sì. Finora ha portato alla firma di un documento che per il momento è del tutto disatteso, perché non è stato sottoscritto da una delle due parti in causa, cioè dal governo di Tripoli. Le milizie islamiste si guardano bene dal formare un governo di coalizione nazionale insieme alle stesse istituzioni che hanno cacciato da Tripoli, e che si sono rifugiate a Tobruk.

 

Che cosa dovrebbe fare dunque l’Italia?

L’Italia dovrebbe perseguire un affiancamento diretto all’azione dell’Egitto all’interno del territorio libico in grado di contrastare l’avanzata dell’Isis. Al nostro governo spetta il sostegno politico, mentre dell’intervento militare è bene che se ne occupi l’Egitto.

 

Com’è la situazione sul terreno?

La situazione libica è di sostanziale caos, in quanto nessuna fazione riesce a esercitare un controllo al di là del proprio territorio. E soprattutto il caos permette all’Isis di avanzare e compiere fatti cruenti come quelli cui abbiamo assistito in questi giorni.

 

Qual è la mappa del territorio dell’Isis?

Il territorio dell’Isis non può essere definito con una mappa. Al di là delle due città che controlla, cioè Derna e Sirte, è una presenza ramificata su un territorio pulviscolare. I suoi centri nodali sono i campi di addestramento, presenti anche all’interno della Cirenaica. I miliziani del Califfato sono assolutamente a loro agio nel muovesi sul territorio spostando uomini, armi e mezzi.

 

(Pietro Vernizzi)