“La difesa delle donne e la diffusione dell’istruzione sono la strada privilegiata per affermare la libertà religiosa e i diritti umani nel mondo arabo. La Tunisia in questo senso è un modello per l’intero Medio Oriente”. Lo afferma Rafaa Ben Achour, giudice della Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli ed ex vicepremier della Tunisia. Un Paese con una società civile e uno Stato moderni, ma anche dove circa 1.500-3.000 giovani sono andati a ingrossare le fila dei foreign fighters dell’Isis. Oggi, sabato 22 agosto, Ben Achour interverrà al Meeting di Rimini nel corso dell’incontro “Islam, Costituzione e democrazia”.



La Tunisia è l’unico Paese dove la Primavera araba sembra avere avuto successo. E’ realmente così?

In primo luogo non esiste una Primavera araba, si tratta di un termine che di per sé rappresenta un’esagerazione linguistica. Il solo Paese dove c’è stato un inizio di Primavera è la Tunisia. Questa esperienza ha avuto buon fine ed è l’unica a essere stata un successo.



E nel resto del mondo arabo?

Prendiamo i quattro Paesi arabi dove ci sono state destituzioni di capi di Stato: Libia, Egitto, Yemen e Tunisia. In Libia e Yemen c’è la guerra, e in Egitto poco ci manca. Il solo Paese che ha potuto organizzare delle elezioni e ha adottato una Costituzione moderna è la Tunisia. La Tunisia è quindi davvero un’eccezione, e potrebbe servire da modello. Ciascun Paese ha però le sue specificità. Ciò che ha favorito la riuscita tunisina è la presenza di molte persone istruite nonché di uno Stato moderno.

Esiste una via tunisina per quanto riguarda i diritti umani?



Assolutamente sì. A partire dalla sua indipendenza nel 1956, la Tunisia si è concentrata su due aspetti: i diritti della donna e la democratizzazione dell’istruzione. Grazie a questo la Tunisia si distingue dagli altri Paesi musulmani. E’ per esempio l’unico Paese dove la donna ha dei diritti molto importanti, e dove la scolarizzazione si avvicina al 100 per cento.

Con quali conseguenze?

Ciò crea i presupposti per una società civile forte, composta da donne e da giovani, la stessa che portando alla rivoluzione del 2011 è stata all’origine dell’attuale Costituzione. La società civile si è opposta a tutti i tentativi di istituire uno Stato teocratico e di limitare i diritti della donna e i diritti umani in generale. Oggi la Costituzione tunisina tutela tutti i diritti umani, in particolare la libertà di coscienza, e vieta qualsiasi discriminazione in nome della religione o di genere.

Come si spiega allora l’elevato numero di giovani tunisini che si arruolano nell’Isis?

Tra i foreign fighters non ci sono solo tunisini, ma anche inglesi, americani, francesi e persone di tutte le nazionalità. Non è quindi un fenomeno proprio della Tunisia, e se ci sono dei tunisini nel quadro di questa organizzazione è perché hanno subito delle influenze e un lavaggio del cervello da parte di una “internazionale del terrore”.

Secondo lei, data la sua forza attrattiva, lo Stato islamico potrebbe riuscire a destabilizzare la Tunisia?

Penso di no. La Tunisia ha le sue istituzioni, uno Stato che esiste dal diciottesimo secolo, e i tunisini sono attaccati alla loro patria. Alcune centinaia di tunisini arruolati nell’Isis non saranno in grado di destabilizzare il Paese. Dopo ogni azione terroristica abbiamo visto il popolo tunisino unirsi e rifiutare in massa il fondamentalismo.

 

Quale ruolo può giocare la Tunisia nella guerra contro Stato islamico e fondamentalismo?

La Tunisia è a sua volta vittima del terrorismo, che la prende di mira proprio in quanto è riuscita nella sua transizione democratica e ha sviluppato istituzioni statali e una Costituzione moderna. La Tunisia non è però una realtà isolata dai Paesi che la circondano. Oggi la Libia costituisce un pericolo reale per il nostro Paese, perché attraverso la frontiera passano armi e terroristi. Per opporsi al terrorismo e rafforzare esercito e polizia, la Tunisia spende cifre considerevoli. Il nostro Paese è minacciato, ma il terrorismo può colpire ovunque nel mondo.

 

Che cosa può fare la Tunisia per la crisi dei migranti?

La Tunisia ha fatto molti sforzi per limitare l’immigrazione dalle coste tunisine verso quelle europee, e per questo ha rafforzato il servizio della Marina. C’è uno scambio di informazioni e un coordinamento comune. E oggi il flusso più consistente di clandestini viene dalla Libia.

 

Il titolo del Meeting fa riferimento a un senso di mancanza nel cuore dell’uomo che rimanda a Dio. Quale significato ha per lei?

Sul fatto che manchi Dio potremmo essere d’accordo o meno. Le persone religiose dicono che a mancare è il senso della spiritualità dell’uomo, e non invece Dio. Altri invece forniscono spiegazioni differenti come l’estrema povertà, la mancanza di educazione e di tolleranza.

 

(Pietro Vernizzi)