“Gli islamisti guardano al nostro perdono come a un segno di debolezza anziché come a un esempio. Noi cristiani irakeni stiamo cercando di dire ai fondamentalisti: ‘Comunque sia noi vi amiamo lo stesso’. Ma dal punto di vista islamico il nostro amore nei loro confronti è inaccettabile”. Sono le parole di padre Douglas Al-Bazi, sacerdote caldeo-cattolico e parroco di Mar Eillia a Erbil, nel Kurdistan irakeno, a 30 minuti di auto dal confine con lo stato islamico. Nel giardino intorno alla parrocchia da un anno sono ospitati centinaia di sfollati fuggiti da Mosul, città conquistata dal califfato, e in città si vive nel terrore dell’arrivo dei miliziani islamici. In Italia per un breve viaggio, domenica 23 agosto padre Al-Bazi è intervenuto al Meeting di Rimini durante l’incontro dal titolo “Una ragione per vivere e per morire: martiri di oggi”.
Com’è la situazione per i cristiani di Erbil?
Ben 120mila persone fuggite un anno fa da Mosul si sono rifugiate a Erbil e oggi trovano riparo in alloggi di fortuna o in roulotte. Nel giardino intorno alla mia chiesa vivono centinaia di persone. Da dove abito io, lo stato islamico dista 30-35 minuti di viaggio in auto.
Avete paura di quello che può avvenire?
Può ritenermi folle, ma non ho paura per me stesso. Anche se ho paura per la mia gente, perché si trovano tra due fuochi e la loro condizione è profondamente sconfortante. Ci sono persone che da un anno vivono in una roulotte da tre metri per sei, e si domandano quanto a lungo durerà ancora la loro situazione. Non abbiamo scelta tra restare a Erbil o fuggire, perché nessuno è disposto ad accoglierci al di fuori del Paese né a rilasciarci il visto. E quindi la mia gente è impaurita.
Non esistono altri posti più sicuri in Iraq?
Non abbiamo scelta perché Erbil si trova nel Kurdistan, e senza il Kurdistan la mia gente non avrebbe una chance e io stesso non sarei qui a parlare con lei.
Perché allora dice che non ha paura per se stesso?
Nella mia vita sono già avvenuti diversi eventi tragici. Quando ero sacerdote a Baghdad sono stato rapito e la mia chiesa è stata fatta esplodere. Eppure continuo ad amare il mio Paese e la mia Chiesa, e per queste ragioni non sono impaurito.
Quali sono i suoi sentimenti in questo momento?
Le mie preghiere sono sempre per la mia gente, perché si trovi una soluzione. E soprattutto per i bambini irakeni, in quanto si deve offrire loro una possibilità per riuscire a vivere in modo pacifico e dignitoso.
Le è capitato di assistere anche a dei segni di speranza?
Continuo a lavorare per la mia gente e a fare tutto ciò che è in mio potere, ma ciò che manca a chi vive a Erbil è proprio la speranza. Mi dispiace essere così franco, ma Erbil è proprio una città senza speranza. Anzi, l’intero Iraq è un Paese senza speranza per i cristiani.
Il desiderio dei cristiani è lasciare il Paese?
In un primo momento dopo essere fuggiti da Mosul speravano di restare nel Paese, ma dopo un anno da sfollati vorrebbero trovare asilo in altre nazioni.
Qualcuno ha anche perso la fede?
No. Nessuno dei miei parrocchiani si lamenta o critica Dio per quanto sta avvenendo, né tantomeno è arrabbiato con Gesù. Anzi sono grati del fatto che Dio abbia salvato le loro vite nonostante lo stato islamico abbia occupato Mosul da un anno.
Che cosa le raccontano i cristiani fuggiti da Mosul?
Che non possono più vivere insieme ai loro vicini musulmani perché non possono più ricostruire la fiducia nei loro confronti.
Tutti i musulmani hanno tradito i cristiani o qualcuno li ha anche aiutati?
Nel mio Paese in questo momento tutti i musulmani sono cattivi.
Un video mostra Myriam, una bambina cristiana di Qaraqosh, che dice di perdonare i guerriglieri dell’Isis che hanno distrutto la sua casa…
Lei resterebbe sorpreso nel sentire quante persone cristiane hanno saputo perdonare per i loro nemici in modo ancora più eclatante e pregare per loro. Ma chi perseguita i cristiani non ha nessuna intenzione di accettare questa lezione. Gli islamisti guardano al nostro perdono come a un segno di debolezza, anziché come a un esempio. Insieme alle parole di Myriam e di altre persone, noi stiamo cercando di dire ai fondamentalisti: “Noi vi amiamo lo stesso”. Ma dal punto di vista islamico il nostro amore nei loro confronti è inaccettabile.
Che cosa significa per l’Iraq il permanere di una comunità cristiana?
L’esistenza di una comunità cristiana in Iraq è in sé un fatto positivo, ma la scelta non spetta a noi. E’ stato l’Iraq a decidere che la comunità cristiana non fa parte a tutti gli effetti del Paese. Non critico quindi i cristiani che desiderano andarsene, quanto piuttosto il mio governo che ha deciso di spingerci ad andare via.
Il governo di Baghdad sta difendendo i cristiani o no?
Il governo di Baghdad rappresenta solo l’Iran, e prima ancora di chiederci se stia proteggendo le minoranze religiose, dobbiamo chiederci se sia in grado di proteggere se stesso.
Come vede il futuro dell’Iraq?
L’Iraq sarà diviso in tre zone: una curda, una sciita e una sunnita. Anche se personalmente non la ritengo una soluzione positiva, quanto piuttosto l’inizio di problemi ed eventualmente di un conflitto ancora più grave.
(Pietro Vernizzi)