E’ stato profugo lui stesso: “Chi lascia la propria casa e la propria terra è come un albero sradicato, si porta dentro la morte nel cuore perché sa che non potrà più tornare indietro”. A parlare è don Mussie Zerai, fondatore e presidente dell’agenzia Habeshia, già candidato al premio Nobel per la pace, fuggito dall’Eritrea nel 1992 a 17 anni. “Non si può parlare dei profughi a cuor leggero come fanno in tanti, è gente che scappa davanti alle bombe che spesso l’Occidente ha venduto ai paesi in guerra per cercare rifugio in un Occidente che chiude loro la porta in faccia”. Don Zerai non è sorpreso del nuovo fronte immigrazione che si è aperto in Europa, quello dei Balcani, dove migliaia di profughi dal Medio oriente cercano di arrivare nel nord Europa: “Era prevedibile, la Grecia non può certo offrire accoglienza nelle condizioni in cui è. Il nuovo dramma a cui assistiamo è figlio di una Europa che ha perso ogni capacità di elaborare un piano, delle iniziative reali, e invece lascia che ogni paese agisca da solo, costruendo i muri, usando i gas lacrimogeni per respingere i disperati”.
Il nuovo fronte immigrazioni che passa per i Balcani ha colto quasi tutti di sorpresa. Secondo lei era invece lecito aspettarsi questa situazione?
Personalmente non mi ha sorpreso affatto. Con la Grecia nelle condizioni che sappiamo, quelle di uno stato in crisi che non può garantire alcuna accoglienza dignitosa, è ovvio che questi siriani fuggiti dalla guerra non possano rimanere in mezzo al nulla. Si devono spostare dove poter costruire un futuro diverso. La Grecia non lo può offrire, ecco che nasce l’esodo verso il nord attraverso i Balcani.
Assistiamo sempre più a un Europa allo sbando, dove ogni paese sembra decidere per conto suo come affrontare il problema, è d’accordo?
L’Europa sta pagando i suoi ritardi: scelte che non sono state fatte, e quelle che sono state fatte sono state fatte male. Non sono riusciti a mettere in pratica gli accordi per i famosi 40mila profughi poi diventati 30mila da trasferire da Italia e Grecia verso il nord Europa, tutto è rimasto impantanato nella burocrazia. L’Europa paga questi ritardi, le scelte fatte con l’accordo di Dublino che, come vediamo, non regge. Se l’Europa non trova una politica comune di accoglienza più o meno uguale per tutti i paesi, non fatta al ribasso ma che permetta a questi richiedenti asilo di avere garantiti almeno i diritti di base e il sussidio necessario per ricostruirsi una vita nuova, sarà sempre peggio.
Invece siamo davanti alla politica dei muri, in Macedonia e in Ungheria, con polizia e soldati schierati, che ricordano muri terribili del passato.
Sì, è terribile vedere militari macedoni che sparano lacrimogeni o il filo spinato in Ungheria. Ha detto bene Junker che l’Europa che vogliamo costruire non è quella dei muri, ma invece succede questo. Tornano in mente i muri abbattuti nel passato ma l’Europa nella sua prassi ha messo in piedi altri muri prima di questi. Muri non visibili ma esistenti sul piano legislativo e politico. Ci sono tanti altri muri che dovrebbero essere abbattuti, figli di politiche populiste, sempre più basate sulla paura e non su una una razionalità capace di affrontare la situazione. Ci sono guerre e ci sono dittature in tutto il mondo. Invece di cercare la soluzione si cerca di isolarsi nel proprio lembo di terra, un’isola felice che non sarà mai così felice.
Quali sono le radici di questa incapacità? La perdita dei valori cristiani che hanno fondato l’Europa?
L’Europa ha azzerato i valori fondanti dell’Unione europea, i padri fondatori avevano come radice forte il cristianesimo. Più volte Giovanni Paolo II ha fatto appello chiedendo che nel preambolo della costituzione europea venisse specificato che le radici giudaico cristiane sono la fonte da cui partiamo e con le quali dobbiamo orientarci e governare la vita sociale, economica culturale. Non hanno voluto farlo e il nulla produce quello a cui assistiamo.
Di fatto solo la Chiesa oggi, come lei ci insegna con la sua attività, aiuta gli immigrati?
Le parrocchie possono dare una testimonianza ma non possono sostituirsi agli stati. Il primo compito di accoglienza è dello stato. Le parrocchie, le associazioni, i movimenti possono dare un aiuto aprendo le porte come hanno già fatto.
Qualche giorno fa il cardinale Bagnasco ha chiamato in causa l’ONU dicendo che non fa abbastanza per quello che è ormai un problema mondiale; è d’accordo?
L’ONU in questo momento non è in grado di risolvere nessuna crisi nel mondo. E’ un ONU paralizzato da veti incrociati e da interessi particolari. Ci vorrebbe una radicale riforma dell’ONU liberandolo da incrostazioni accumulate nei decenni, serve un ONU forte e realmente arbitro per intervenire seriamente nei punti di crisi cercando di pacificare oppure commissariare alcuni stati falliti.
Cosa intende per commissariare gli stati falliti?
I paesi oggi maggiori produttori di profughi sono paesi dichiaratamente falliti. L’ONU si deve sostituire a quei governi che sono la causa di questi esodi e amministrarli creando contesti di democrazia e di dignità per le popolazioni. Fino a quando non avremmo un ONU capace di fare ciò, continueranno questi problemi.
Lei stesso è stato profugo: che cosa vuol dire essere un profugo?
Essere profugo è come essere un albero sradicato. Stai lasciando la patria, i familiari, gli affetti e una parte di te muore a causa di questa sofferenza, non stai partendo per avventura. Soprattutto coloro che scappano da guerre e persecuzioni sanno che non potranno tornare a rivedere i loro affetti e la loro terra, e per questo portano la morte nel cuore. Non è una cosa da parlarne a cuor leggero, se ne starebbero volentieri a casa loro se potessero vivere in pace. Invece sono sradicati e costretti a fuggire per salvarsi dalle bombe che l’Occidente ha venduto a questi paesi.
(Paolo Vites)