Quando fai una promessa dai speranza. Quando la mantieni generi fiducia. Syriza è andato bene con le promesse, ha fallito con la parola data. Ma si parla del “vecchio” Syriza. Di quello “nuovo” e certamente più “leggero” non si conosce ancora nulla della sua campagna elettorale, che culminerà nel conteggio delle percentuali dei votanti il 20 settembre. Da dimenticare comunque il 36 e qualcosa per cento di otto mesi fa. Forse il 30%, forse meno. Certamente non arriverà alla maggioranza dei 151 parlamentari.
Se con la “speranza” che stava aspettando nella cabina elettorale hanno votato in molti i “syrizei”, pur essendo votanti moderati, questa volta con quale sentimento i greci andranno a votare? Quel 63% di voti espressi per il “No”, nel referendum del 5 luglio scorso, che poi Tsipras ha trasformato in un “Sì” per il terzo Memorandum dovrebbe avere delle conseguenze elettorali, certamente non a favore del primo ministro uscente. Lui chiede la “autodinamia”, cioè la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari. Ma ci crede veramente, oppure sta bluffando? Pur con il regalo di 50 deputati al primo partito – purtroppo la legge elettorale non aiuta la formazione di governi di coalizione – Syriza dovrà arrivare a dei compromessi con le altre forze politiche di centro-sinistra. Ma Tsipras è stato categorico: “Nessuna alleanza con i vecchi partiti. Potremo fare un’alleanza soltanto con i Greci Indipendenti (l’ex alleato nel suo governo, ndr)”. Se così sarà, la Grecia andrà a nuove elezioni, dando addio alle riforme richieste, ma avvicinando le spettro di una probabile Grexit. Un suo ministro è stato ancora più traumatico: se il partito non risulterà primo nelle percentuali di voto non è scontato che in seguito voterà le nuove misure di austerità. Un colpo di sole?
Comunque l’azzardo si confà a Tsipras. Ma i suoi risultati finora sono stati deludenti. Baldanzoso a gennaio alla ricerca di una soluzione win-win alla crisi economica, ha accettato a luglio una soluzione win-lost pur di evitare, a suo dire, “lo scoppio della guerra civile”. Esagerata come analisi, ma efficace per il popolo di sinistra. Oggi sposa un’altra tesi estrema: “win or bust”, o vincitore o bruciato. Ottimo tattico, pessimo stratega, o politico lungimirante.
Di sicuro il 20 settembre la Grecia saprà se Tsipras è stato una “parentesi di sinistra” oppure un politico cui affidare il proprio magro futuro. I risultati del suo governo sono stati deludenti. Per sette mesi ha cercato di mantenere unita una formazione politica che unita non è mai stata. La gestione politica delle trattative dipendeva dagli umori e dalle dichiarazioni dei suoi ministri. Certamente conosceva le posizioni dell’ala comunista capeggiata da Panagiotis Lafazanis. Certamente conosceva le posizioni radicali della “pasionaria” Presidente del Parlamento. I primi sondaggi non sono confortanti. Gli indecisi superano in percentuale il dato del primo partito, cioè il neo-Syriza – oggi una formazione allo sbando e senza una identità politica. Ma è ancora molto presto per capire gli umori delle persone.
Un dato però fin d’ora è chiaro: non si voterà a favore della “speranza” di un radioso futuro immaginario, tantomeno per “paura” di un’uscita dall’euro. Questa volta si dovrà scegliere a chi affidare la gestione del terzo Memorandum perché questa volta è tutto chiaro: non ci sono più trattative da svolgere, non ci sono più fuochi d’artificio da accendere. La Grecia è diventata un Paese “normale” con degli immensi problemi socio-economici da risolvere. C’è di nuovo da scegliere tra il peggio e il meno peggio, come per il referendum, con la differenza che ormai tutta la classe politica si è sbugiardata. Poi a fine settembre si tireranno le somme definitive di sette mesi di inettitudine, inesperienza, arroganza e menzogne.
Più o meno 12 miliardi persi, dicono alcuni conti sommari. E un debito pubblico che dal 177% schizzerà al 200% nei prossimi anni. Colpa di Tsipras che non ha saputo gestire il governo, colpa dei greci che lo hanno votato, consapevoli che non esisteva un’alternativa credibile?