— Della monarchia ci siamo liberati nel lontano 1776, rimandando a casa con le pive nel sacco gli uomini di sua maestà re Giorgio III di Inghilterra. In compenso pare che delle dinastie non ci libereremo mai. Quelle nel mondo del business le capisco. Ogni paese ha i suoi Rockefeller, Ford, Getty… Uno mette su un impero economico e i familiari — con alterne fortune — proseguono sulla stessa strada. Quando però si parla di dinastie politiche gli Stati Uniti sono proprio speciali.



Abbiamo cominciato molto presto con Quincy Adams, presidente numero sei eletto nel 1825, figlio di John, presidente numero due nell’anno domini 1796. Ma non c’è bisogno di studiarsi gli annali per capire come funzionino le cose da queste parti. Quando si tratta di scegliere un presidente sembriamo essere sempre a cavallo tra il diritto ereditario e l’usato garantito: figli, fratelli, zii, cugini, e adesso — segno dei tempi — pure mogli. Mi basta buttare un occhio ai sessant’anni di vita mia per vedere i Kennedy, i Bush. E i Clinton. Siamo più di 300 milioni, ma quando arriva il momento di cavar fuori candidati diciamo così “presentabili”, sembra che siamo in quindici. Lo sapete quali sono i tre-requisiti-tre per diventare presidente degli Stati Uniti d’America? 1: avere almeno 35 anni; 2: essere un residente permanente di questo paese; 3: essere un natural born citizen, cioè essere nato su questo suolo. Ok, il terzo requisito mi fa fuori, non potrò mai fare il presidente in America. Però ne restano parecchi altri di potenziali candidati…



I repubblicani, i conservatori, sentendosi tutti legittimati a farlo viste le penose performances di Obama, si sono candidati in 17 per le loro primarie. Diciassette candidati! Se non è un record poco ci manca. Parecchi torneranno a casa con un voto solo, il loro, ma tra quelli che di voti ne raccoglieranno parecchi ci sarà certamente Jeb Bush, figlio di George H.W., e fratello di George W., entrambi presidenti. E come rispondono i democratici? Con Hillary! Hillary Rodham Clinton. Lo sapete tutti, moglie di Bill, presidente dal 1993 al 2001. Basta il nome?

Mio padre si chiamava Umberto, Vittorio Emanuele, e aveva pure una sorella che si chiamava Italia, ma ha fatto il ragioniere per tutta la vita, non il re. Comunque sì, è proprio una questione di nome. Con tutto il poco amore che gli americani hanno per la politica ed al contempo il profondissimo rispetto che hanno per la più alta carica istituzionale, finiscono sempre per guardare a quelle famiglie che della politica hanno fatto la loro vita. Così come ci sono quelli che imparano a fare i carpentieri o gli idraulici guardando il padre, quelli che diventano dentisti o notai seguendo le tracce dei genitori, così qua si sfornano i politici.



Vedremo come andrà a finire in campo repubblicano. In quello democratico, nel mondo dei sedicenti progressisti, la scelta del politico d’allevamento praticamente è già stata fatta. A me un gran progresso non sembra.