Quando circa un mese fa mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei, si permise di esprimere un giudizio sulla linea politica del governo nazionale in merito alla situazione dell’immigrazione, si scatenò un putiferio mediatico che ebbe l’unico risultato di evitare che si rispondesse alla domanda semplice da lui posta: qualcuno ha un’idea su come affrontare concretamente l’intera vicenda che coinvolge, lo si voglia o meno, l’intera Europa e un numero imprecisato ma alto di milioni di persone che hanno deciso di venire da noi?



A distanza di un mese la risposta ci è venuta, chiara e incontrovertibile, non dai governi europei, ma dagli eventi, dalla storia. Gli immigrati che in massa continuano ad entrare in Europa da est, via terra, dimostrano che il problema non è più eludibile ed anche gli Stati che come gli struzzi hanno finora messo la testa sotto la sabbia devono prendere atto che in un modo o in un altro il problema va affrontato.



Tutte le affermazioni, gli impegni, i giuramenti fatti fino a qualche settimana prima dai leader europei per rassicurare i propri cittadini che mai avrebbero avuto tra loro masse di immigrati questuanti per le strade pronti a togliere il lavoro ai residenti, sono state smentite.

Ci ha poi pensato, ma dopo, a cose fatte, la cancelliera tedesca Angela Merkel che ha sparigliato il gioco rimangiandosi quanto fino a quel momento affermato e offrendo ospitalità ad una quantità selezionata e definita di immigrati, in particolare i siriani. Accompagnato da un sapiente tam tam mediatico (vedi le immagini dei profughi giunti in Germania tra gli applausi dei tedeschi), la cancelliera è divenuta dalla sera alla mattina una sorta di salvatrice della vita e del futuro di quanti potranno far parte dei criteri da essa stessa indicati: nazionalità siriana e numeri contingentati negli anni. A questo va anche aggiunto che proprio ieri la Germania ha sospeso il trattato di Schengen, confermando quello che si è era già visti nei giorni scorsi: la riapertura a intermittenza delle frontiere è lì a confermare che soluzioni facili al problema non ce ne sono, diversamente da quello che potrebbe sembrare nelle redazioni di molti giornali.



L’opzione tedesca dell’accoglienza, in sé certamente buona e lodevole, avrebbe bisogno per essere compresa in tutta la sua portata, soprattutto politica, di due chiarimenti. Primo: cos’è improvvisamente accaduto in Siria perché in pochi giorni centinaia di migliaia di persone si risolvessero a partire, rischiando — come ampiamente dimostrato — anche la vita, per raggiungere l’Europa centrale? Secondo: perché la Germania può decidere chi e quanti immigrati accogliere mentre gli altri stati, come l’Italia, devono ricevere indistintamente tutte le etnie che giungono nei propri territori?

Alla prima domanda ha iniziato a rispondere il presidente russo Vladimir Putin che con la sua decisione di scendere in campo nel conflitto (vedremo nei prossimi giorni come) ha innescato la paura di quanti ancora resistevano in quei luoghi e li ha indotti a partire, tutti e subito, per l’Europa. Alla seconda, non essendo in grado Bruxelles di stabilire una linea politica unitaria (e qui ritorna la domanda di Galantino) su tutta la questione, lascia i singoli Stati ancora una volta liberi di prendere le decisioni che ritengono più opportune. Così si va dalla Germania, paladina dell’accoglienza, all’Ungheria, che rischiamo di veder deferita alla Corte dell’Aia per le azioni intraprese nel contenimento dall’ondata migratoria. 

Con questo sistema ogni nazione — tranne quelle di vera frontiera — sta di fatto ritagliandosi un proprio spazio politico. Italia e Grecia, infatti, continuano a sopportare pesi gravosi senza che più neanche si parli delle questioni irrisolte che ci sono nei loro territori. Perfino gli Usa hanno avuto la loro parte di palcoscenico affermando di voler accoglie “ben” 10mila profughi. Frattanto, in Grecia continuano a rimanere in piccole isole migliaia di immigrati “accolti” peggio di come vivevano nei campi profughi da cui erano partiti, senza che nessuna nave ospedale li vada a prendere almeno per evitare che muoiano lì, e in Italia continuano a sbarcare, e in parte a morire prima, migranti di tutte le nazionalità.

Ciò che continua a sorprendere in tutta questa vicenda è un banalissimo dato che abbiamo imparato sui libri di storia: tutte le guerre scatenate dagli uomini, anche le più cruente, anche le più lunghe, come la “guerra dei cent’anni”, hanno fine solo quando gli stessi uomini che le hanno provocate si accordano per interromperle e così tornare alla pace. Il fenomeno dell’immigrazione di massa cui stiamo assistendo è il frutto della forma più sofisticata di guerra del XXI secolo. Essa ha due facce, ma la medaglia è la medesima. Il retto, quella che ci fanno vedere sempre in televisione, è quella guerreggiata che si combatte in vaste aree del Medio oriente, dalla Siria alla Libia. Guerre scatenate dalle grandi potenze per accaparrarsi zone di influenza da contrapporre ad altre zone di influenza. Il verso è quella che non ci fanno vedere, quella solo apparentemente non guerreggiata, ultimo anello del colonialismo ottocentesco che dopo aver provocato sottosviluppo in vaste aree, soprattutto dell’Africa, ha portato le popolazioni residenti e sopravvissute alla decisione di venire a riprendersi in Europa quello che è stato tolto ai loro nonni.

E torniamo così inesorabilmente alla domanda iniziale: possibile che l’Europa possa esprimere la propria unità solo nelle etichette dei prodotti alimentari e nelle misure economiche draconiane da affibbiare alla Grecia? Siamo certi che l’Europa potrebbe, ne ha i mezzi economici e gli strumenti politici. Ma non vuole. 

Nell’attesa c’è spazio solo per il fai da te, risorsa inesauribile della generosità umana che accomuna popoli scandinavi e mediterranei in una gara all’accoglienza tanto spontanea quanto confusa che va bene a tamponare l’emergenza, ma che non potrà mai affrontare gli elementi strutturali del fenomeno. L’esempio è quanto accaduto dopo l’appello del Papa: si sono moltiplicate idee, iniziative, possibilità nella più grade confusione e nella palese violazione di norme giuridiche e criteri di buon senso. Ancora una volta si riuscirà a lenire il dolore, ma non si affronterà la causa del male.